“Le radici profonde”, la ristampa in libreria

Di recente si è avuto l’annuncio di una ristampa di Le radici profonde –  Tolkien e le Sacre Scritture, opera d’esordio con cui Greta Bertani ha offerto uno spunto per la lettura dei testi di Tolkien in relazione alla sua intensa devozione da cristiano cattolico. Come riportava l’annuncio dei tempi della prima edizione, datata autunno 2011, l’idea di fondo è che la subcreazione tolkieniana “nasce e si abbevera alle fonti della Sapienza Biblica” e la sua concezione ultima maturò sia a causa “di un appassionato studio personale, che attraverso la mediazione degli autori del Medioevo anglosassone che rappresentarono sempre la grande passione e la principale missione universitaria di Tolkien”. Il volume pertanto sviscera la tesi di un possibile doppio piano di lettura dei testi del Professore, di Oxford,  che da un lato scelse (meditatamente) di modellare i suoi testi sugli schemi narrativi della favola e del mito, entrambi considerati veicoli di trasmissione di elementi culturali tra il popolo che non aveva accesso all’istruzione alta, dall’altro attinse a piene mani anche alle fonti veterotestamentarie, anch’esse legate ad ambientazioni e a periodi storici in cui la componente mitica e mitologica era molto presente e molto sentita nel quotidiano di tutte le civiltà.

Questo naturalmente non significa che l’autrice abbia voluto sostenere una sorta di “parallelismo” tra i cicli di Arda e i testi biblici, cosa che lo stesso Tolkien negò apertamente e cercò di evitare: al contrario, si vuol evidenziare che dalle pagine tolkieniane emerge l’eco di ciò che entrambe le fonti trasmettono ai lettori,  come scrive con perizia Andrea Monda nella prefazione al volume:

Il presente saggio non dovrebbe riaprire (in Italia il condizionale è sempre d’obbligo) la strana discussione, che da anni si trascina nel nostro paese, intorno alla “lettura cattolica” dell’opera narrativa di Tolkien: la Bertani come non intende ridurre in cattività la Bibbia, così non vuole rinchiudere la ricchezza dei romanzi tolkieniani nella prigione dorata dell’allegoria, ma solo esprimere tutte le risonanze che la lettura di quei romanzi provocano in una lettrice che, proprio come Tolkien, si è nutrita sin dalla giovinezza attingendo e gustando le bellezze del testo biblico.

Abbiamo avuto modo di rivolgere a Greta Bertani tre domande, a cui gentilmente ha risposto senza risparmiarsi, con l’intento di offrire un quadro generale del suo rapporto con il suo testo e con i testi che lo hanno ispirato. Ecco cosa ci ha detto:

Tolkien con le sue opere è da sempre fonte di ispirazione per un enorme numero di autori in tutto il mondo. Nel tuo caso, qual è stata la molla che ti ha spinta a passare all’azione, convincendoti che era il momento di offrire al dibattito anche queste tue riflessioni?

E’ stata la fortuna, o meglio come direbbe Gandalf “ in questo caso c’era più di una forza in gioco”. Mi ero laureata nel 1995, convinta di avere fatto un lavoro mediocre, ma col desiderio di condividere certe mie intuizioni, che al tempo non avevo trovato nel materiale da me consultato. Solo dieci anni dopo, trovai, in modo del tutto casuale (anche se secondo me non è stato il “caso”) un articolo che citava la mia tesi e le riteneva degna di pubblicazione. Fu un fulmine a ciel sereno. Contattai l’autore dell’articolo (Paolo Pugni, che avevo conosciuto ai tempi della tesi ed al quale, per gratitudine, ne avevo inviata una copia) che mi incoraggiò ad andare avanti, aiutandomi e sostenendomi passo passo. Insomma, avevo bisogno di una buona iniezione di autostima, e di un amico che camminasse accanto a me. Un po’ come Virgilio con Dante.

– L’intenso modo in cui Tolkien visse la sua fede è cosa nota, tuttavia dobbiamo constatare con rammarico che quest’argomento finisce sempre per risultare causa di accese dispute fra lettori di vedute diverse, per quanto lui stesso si sia sempre preoccupato di non impostare le sue narrazioni in ottica “catechistica”. Secondo te, in quale direzione ci si potrebbe muovere per portare il dibattito su toni costruttivi e fare in modo che anche i lettori non cattolici possano confrontarsi, nel pieno rispetto di ogni punto di vista civile e fondato, a questi temi?

E’ una domanda complessa. Innanzi tutto devo dire che in questi sette anni, dalla pubblicazione del libro, la mia conoscenza del panorama tolkieniano italiano così come della critica italiana ed estera è notevolmente migliorata. Anzi, posso dire che al tempo della stesura del mio saggio non sapevo nulla di associazioni varie sul nostro territorio, né di tutte le polemiche attorno all’interpretazione cattolica di Tolkien, e credo che il mio scritto risenta di questo. Tornando alla domanda, credo che si debbano riscoprire tre grandi valori, un po’ dimenticati in tutti i campi della vita sociale: l’amore per la verità, il rispetto per l’interlocutore ed un po’ di sana umiltà. Mi spiego meglio: è innegabile che Tolkien fosse profondamente cattolico, così come è innegabile che egli abbia pescato molto dal mito, dalle saghe nordiche e pagane. Credo che noi cattolici dovremmo si, evidenziare, gli elementi cristiani, ma allo stesso tempo non si possono negare quelli pagani ( e non mi risulta che qualcuno lo faccia, al massimo non sono stati inclusi nelle analisi), d’altronde chi si professa non credente non può non ammettere l’elemento cristiano dell’opera, ponendo accento esclusivo sullo studio delle fonti letterarie epiche e mitiche. Dicevo poi che serve rispetto per l’interlocutore, perché, e questo è tanto più vero con la grande letteratura, ognuno può vedere sfumature diverse, esiti diversi che nemmeno l’autore stesso aveva previsto. La grande letteratura, quella vera, che ci tocca il cuore, è così: esalta il nostro sentire, il nostro io, in essa ci rispecchiamo, di conseguenza a noi saranno tanto più evidenti quegli elementi che ci corrispondono a scapito degli altri. L’umiltà poi serve per non pretendere che il proprio punto di vista sia l’unico valido.

– Per finire, una domanda un po’ bizzarra ma che ci incuriosisce per focalizzare meglio il tuo rapporto con la tua opera: qual è la parte del libro che ti si è rivelata più congeniale, che hai scritto con più slancio e con più trasporto rispetto alle altre, sempre che ve ne sia una?

La stesura del libro è stata molto strana. Innanzi tutto si è protratta per sei lunghi anni a causa di impegni familiari. Spesso avevo intuizioni (che poi verificavo) in momenti e luoghi impensati. Credo, comunque, che la parte più bella, affascinante e difficile, ma che al contempo mi ha donato di più, sia stato l’ultimo capitolo, quello sulla morte. Mentre per il resto del libro seguivo comunque le intuizioni già espresse nella mia tesi, in questo caso sono partita da zero, semplicemente accettando la sfida di una famosa frase del Silmarillion: La morte dono di Dio agli uomini. Non avevo altro ed ho cercato di andare a fondo a questa affermazione. Spero di avere raggiunto l’obiettivo, almeno in parte, dandone una possibile lettura d’aiuto per altri, così come lo è stato per me.