Tolkieniani Italiani – intervista a Fabrizio Corselli

Più che un’intervista, si tratta di un dialogo tra due amici di vecchia data che si rincontrano su altri lidi (o sempre sugli stessi, visti da un’altra prospettiva?). Dai tempi d’oro di Eldalië alle prospettive non meno interessanti degli anni che porteranno alla nuova serie TV, Fabrizio Corselli incalzato da Gianluca Comastri dimostra, con la consueta perizia, cosa significa realmente trasformare gli spunti creativi dati da Tolkien in nuove iniziative artistiche e culturali.

 


Rieccoci qui a chiacchierare una volta di più, dopo anni di conoscenza e un bel po’ di vicende vissute attorno a Eldalië. Quello che continua a sorprendermi di quel sito/forum è che mise in contatto tante anime sensibili attorno a un filone comune (Tolkien), ma senza che tutti provenissero direttamente dall’ambiente dei “fan di Tolkien”. Com’è il tuo caso. Già prima di capitare da noi, ma anche durante e dopo, ti sei sempre cimentato su più fronti, per quanto non privi di punti di contatto. Una delle poche cose di cui non abbiamo mai parlato è: qual è stata la circostanza in cui hai riconosciuto in Tolkien un possibile filo conduttore di tutte le tue attività (che ti do licenza di descrivere, se riesci ad essere ragionevolmente sintetico)?

Il periodo di Eldalië lo ricordo ancora con grande enfasi. Soprattutto la creazione di una sezione dedicata alla poesia a tema fantasy, e che curai ai tempi; ma questo già lo sai. Non necessariamente bisogna essere del campo per apprezzare Tolkien; ogni amante del genere Fantasy ritrova in lui infiniti punti di contatto. In Tolkien ho sempre riconosciuto un filo conduttore profondo e proficuo allo stesso tempo. Secondo me, Tolkien va conosciuto prima di tutto per i suoi studi sulla poesia antica e per il suo rapporto con la poesia stessa. Non possiamo prescindere da tale situazione. Non lo definirei proprio un poeta, ma lui ha avuto il pregio e il primato di aver riportato in auge la dimensione eroica ed epica, nel senso proprio di “epos”, di averla riportata sotto una luce carica di modernità. Soprattutto se pensiamo alle sue rimodulazioni (assimilazioni, secondo il concetto di Virgilio), così attente e profonde. Suo il vanto di aver fatto rivivere l’epica antica, il primordio di un’essenza mitica e il sostrato che caratterizzarono la tradizione orale, seppur mediando con la prosa. La dimensione poetica che promana dai suoi testi narrativi sono palesi e inconfutabili. Le sue descrizioni sono la sintesi della solennità del verso epico (“semnos”). In ogni mio stage didattico, cito sempre le parole di Tolkien, divenute adesso epigrafe di ogni approccio poetico: “La Poesia dell’antico norvegese mira invece a catturare una situazione, ad assestare un colpo da non dimenticare, a illuminare con il chiarore del lampo un preciso momento, e tende alla concisione, a una corposa compressione del linguaggio nel senso e nella forma, e gradualmente a una maggiore regolarità nella forma del verso”.

So che negli anni sei stato intervistato parecchie volte, da personalità quali (per citarne tre a titolo di esempio) Giuseppe Iannozzi, Alexia Bianchini  e Alfonso Zarbo. Proprio in virtù del tuo ventaglio di interessi è probabile che tu non abbia praticamente mai parlato in due volte diverse dello stesso argomento (non ho però verificato parola per parola…). Tu scrivi prevalentemente in versi. Per quanto giocare con le etichette sia sempre rischioso, penso  di poter dire che il tuo percorso espressivo e creativo poggia saldamente su poesia, epica e mito, quasi a voler recuperare e restituire alla contemporaneità le tradizioni classiche. In tutto questo, qual è e come si è evoluto il tuo rapporto col, ehm, “fantasy”?

Le etichette non definiscono mai al meglio una data situazione, soprattutto quando un artista è caratterizzato da uno stile personale ben preciso, sottraendosi così a determinate categorizzazioni. Io ho una identità ben definita, o meglio che si è strutturata nel tempo. So chi sono, cosa faccio e, soprattutto, cosa voglio. Non mi pento di ciò, a dispetto delle critiche vacue che devo sostenere continuamente dai “puristi”. Di sicuro non sono un poeta contemporaneo o suburbano, per come lo si intende oggi, minimalista e intimista, ridotto all’osso. Sono nato in Sicilia, terra del mito e luogo di forte cultura orale, da quella greca a quella araba, per poi approdare alla corte federiciana con i trovatori. Amo alla follia la lirica epinicia e le Olimpiadi antiche. Pindaro è il mio poeta preferito. Il rapporto fra poesia e performance è alla base del mio comporre e delle mie attività, ragion per cui mi sottraggo fin troppo spesso al concetto di cultura libraria. La parola volteggia, danza, trascende il proprio corpus mechanicum (il foglio di carta), affonda a piene mani nelle radici della danza ieratica, dalla cheiromonia greca; fondamento che strutturerà la mia presente attività di Cantore di Spada. Professo quasi un’elfica beltà nella costruzione euritmica delle parole (notare, non uso il termine “testo”). È difficile non approdare al Fantasy percorrendo un tale percorso. Il mythos è origine del Fantasy, e di esso si nutre. Se prendiamo in considerazione la poesia norrena, il mito è fondamento della produzione di tale dimensione. In questo Tolkien è stato accentrante, egli ha evoluto e rafforzato il concetto di mitopoiesi, la formazione di un cosmos mitologico che vive di luce propria, un mondo completo in sé e che promuove con forza il concetto di verisimiglianza. Ciò ha influenzato anche la mia prosa (per quel poco che ho scritto), soprattutto con l’ultimo “Terra Draconis” che guarda a una struttura più vicina al Silmarillion, e che narra di come sia nato il continente di Andrara. Il mio Fantasy è dominato principalmente dalla figura dei Draghi che plasmo e trasformo secondo un’ottica straniante data dalla componente poetica: il drago come unità mensurale. Situazione che mi ha portato a collaborare con Ciruelo Cabral. Ci vorrebbe un’intervista a sé solo per discutere di questo. In ogni caso, il genere fantastico si evolve sempre, lambendo i confini della rivisitazione nordica (Runechase per il gioco di ruolo) o anche per gli stage di Canto della Spada dove lo stile riprende la tradizione degli scaldi o dei Bardi. L’Arte è alla base del mio modo di vedere e vivere il Fantasy.

A un certo punto, uscendo almeno in  parte dall’ambito letterario, sono arrivati il gioco di ruolo e il Canto della Spada. Se dovessi individuare i loro principali punti di forza in fatto di efficacia come mezzi espressivi, narrativi e creativi, come li presenteresti? Non ti do limiti di nessun genere se non quelli della leggibilità di una pagina web.

Bella domanda. Gioco di Ruolo e Canto della Spada, alla fine hanno in comune come elemento fondamentale la narrazione orale; situazione che mi permette di portare in gioco anche le forme espressive e tecniche della seconda. Il gioco di ruolo permette una profonda immersione all’interno di uno spazio immaginato condiviso, mette in comunicazione e a confronto le abilità e le individualità di ogni suo partecipante  che veste i panni di un personaggio. “Vivere” un’avventura ai confini della realtà, quindi non solo immaginarla, farne esperienza diretta all’interno di un luogo protetto e che fornisce ai suoi giocatori un nuovo modo di sperimentare la narrazione. In questo, Tolkien aveva già accennato alla famosa “sospensione dell’incredulità”, del positivo “compromesso” che si instaura fra lettore e libro, in cui si sviluppa la consapevolezza che quelle azioni, quei mondi e luoghi che vengono profilati con grande forza descrittiva possano esistere, possano essere credibili solo in quella realtà fittizia; nasce così il principio di coerenza e verisimiglianza. Il concetto di Eikos, l’abbiamo già in Platone e Aristotele. Invece con il Canto della Spada, arte della narrazione orale, si cerca di recuperare la tradizione antica mediando due forme di cultura e arte: quella del Cantastorie, per l’uso del verso, quale mirabile strumento per raccontare storie di eroi e mostri, e non soltanto, come si faceva un tempo intorno al fuoco o presso la corte di un Re, e l’uso della spada, derivato dalla tradizione cuntistica siciliana. Non mi sono fermato soltanto a questo, ho fatto di meglio. Ho riversato nella mia ultima fatica, un Gioco di Ruolo da tavolo, che ha per titolo “Museborn”, la mia conoscenza nel campo della narrazione orale, e ho creato la figura del Cantore di Spada: una classe a metà fra il bardo e il maestro di spada che impiega in ruolo le tecniche espressive della suddetta arte orale. Detto così, però è un po’ riduttivo. Alla fine, come puoi notare, le sinergie sono molteplici.

 In base alla tua esperienza, cosa significa al giorno d’oggi essere poeti, in un periodo storico in cui il concetto stesso di cultura è clamorosamente ridiscusso in ogni suo aspetto? Quale presente e quale futuro avrà la poesia, dovendosi adattare a caratteristiche così turbolente come quelle del mondo contemporaneo?

Situazione molto spinosa. Soprattutto perché la Poesia è un genere che è andato incontro a una serie di degenerazioni, sia per l’irresponsabilità di molti nel considerare il verso motivo di faciloneria compositiva sia per la disonestà di moltissime case editrici che, fiutando la necessità della vanity press, pubblicano a pagamento. Da professionista del settore editoriale mi sento di dire che, oggi, un Poeta deve sputare davvero sangue per affermarsi. In un’epoca in cui Fabio Volo è considerato un filosofo, in cui le case grosse pubblicano youtuber dalla dubbia cultura, solo per il seguito che hanno, già la situazione la dice lunga. Molte case editrici hanno addirittura cancellato le collane di poesia, mentre altre hanno ridotto drasticamente le pubblicazioni. “Poeta” è un termine assai abusato, ha perso di valore. Il poeta è colui che continua a scandagliare la realtà delle cose, ignaro del pubblico, cercando di darcene di rimando una versione inedita, di fare breccia nell’essenza delle cose ridestandole dal loro torpore semantico. La Poesia è fatta di carne e sangue. Per tale motivo, io non mi definisco un poeta, sono invero un Cantore. Impiego il verso, ma non faccio Poesia. La mia è un’arte più legata alla performance e meno alla cultura libraria, pur pubblicando cartaceo. La vedo brutta per la Poesia, c’è stasi, c’è un’intera palude che attende di essere dragata. Attenzione, c’è anche del buono, ma sono davvero pochi quelli che si salvano, tralasciando i salottini letterari al pari di campi di concentramento: sono la morte.

Concludo con una tripla domanda a bruciapelo: in cosa ti senti particolarmente affine a Tolkien (per come lo hai conosciuto da ciò di suo che hai letto), in cosa invece te ne senti più distante e qual è secondo te il modo più efficace che abbiamo, come collettivi tolkieniani italiani che guardano anche oltre confine, per trasmettere l’immensa portata del suo lascito e creare le condizioni affinché ciò in cui credeva sia in qualche modo portato avanti da “altre mani e altre menti”?

Mi sento affine alla sua passione nel riportare alla luce una tradizione che merita uno studio molto accurato e, soprattutto, che non venga, allo stesso tempo, liquidato come qualcosa di accademico e basta. Di certo non mi riferisco al rigore del Professore, perché non siamo tutti filologi o studiosi, ma cercare di far rivivere quella scintilla, quell’ardimento che bisognerebbe avere in tutto ciò che si fa. Una passione che diventi qualcosa di più. Cercare di sviluppare punti di vista diversi e promuovere la mobilità del pensiero artistico. Il Fantasy è un crogiolo inesauribile di idee e spunti di riflessione. Per ciò che riguarda il distante, forse lo stesso rigore a cui ho accennato poco fa. Ognuno dovrebbe far proprio il punto di vista e, in particolar modo, assimilare tutto ciò che il passato ci dona per poi produrre una dimensione che tenga in conto la modernità, evitando così emulazioni o brutte copie di altro. Fin troppi scrittori ammiccano al mondo di Tolkien con poca consapevolezza e discernimento, con risultati finali a dir poco disastrosi. Intanto, i collettivi dovrebbero evitare di farsi la guerra. Vedo continuamente troppe battaglie ideologiche, troppo egocentrismo, come se detenessero la verità assoluta sui lavori di Tolkien; altri ancora portano avanti crociate devote al nulla. Un po’ presuntuoso, direi. Ci vuole un comune intento di collaborazione e allineamento dei propositi. Creare qualcosa di grande, di sinergico, produrre un contenitore in cui ognuno di noi metta a disposizione la propria arte, e i propri contributi in modo disinteressato. Parlo di una collettività unica. Forse, un’utopia?! Chissà?! Per ciò che riguarda me, cerco sempre di mettere a disposizione la mia arte innervando diversi elementi di Tolkien, per esempio in molti miei stage a tema. Speriamo le cose migliorino.