La questione della nuova traduzione Bompiani
La scorsa settimana, su bacheche e pagine online dedicate a Tolkien e alle sue opere, ha tenuto banco la notizia dell’incontro svoltosi lo scorso giovedì 17 gennaio. Presso la Sala Capitolare nel Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma (struttura disposta dal Senato della Repubblica) era annunciata La Guerra di Tolkien – Cosa accade in Italia al creatore degli hobbit?, evento la cui denominazione era già più di un indizio.
Fin dalle prime avvisaglie dell’iniziativa che abbiamo potuto captare ci siamo trovati in un certo impaccio. Il clima venutosi a creare nei giorni precedenti e seguenti l’iniziativa, che come da pronostico si è rivelato particolarmente acceso, ci ha consigliato attendere che si calmassero un po’ le acque prima di esprimerci – cosa dalla quale non potevamo né volevamo esimerci del tutto. Ma la faccenda continua ad essere piuttosto delicata.
Il nocciolo di tutta la questione, è bene ricordarlo, è dato dalla nuova traduzione dell’opera prima di Tolkien, annunciata da tempo ma non ancora venuta alla luce. Anche questa iniziativa, come altre degli ultimi tempi, si è inserita nel quadro di una contesa il cui effetto collaterale più drammatico è quello di polarizzare gli appassionati dividendoli in due schieramenti contrapposti, spesso più per questioni di bandiera estranee all’ambito letterario che non nel quadro di uno schietto confronto sul celebre e amato testo.
Abbiamo esitato, in ognuna di queste circostanze, spesso propendendo per non pronunciarci del tutto. Abbiamo deciso in questo senso in quanto, salvo qualche eccezione, tutte le parti in causa annoverano tra le loro file persone che negli anni hanno fatto parte a vario titolo della Società Tolkieniana Italiana, o comunque hanno gravitato attorno alle nostre attività. Dal 1992, anno della fondazione della Società e dell’avvio delle attività a suo nome, abbiamo vissuto tutto l’alternarsi di emozioni ed episodi che hanno caratterizzato la trasformazione della Terra di Mezzo da argomento per pochi cultori a fenomeno culturale di massa. Abbiamo visto la transizione da un pugno di titoli sugli scaffali delle librerie all’arrivo di sempre nuove e sempre più prestigiose pubblicazioni; le grandiose campagne cinematografiche ci hanno poi permesso di dare volto e forma al nostro immaginario quotidiano.
In questo caso, non potendo ovviamente affrontare nel dettaglio l’argomento della traduzione vera e propria, bisognava fare i conti con uno stato di cose in cui anche il semplice dare o non dare una notizia veniva visto come una certa qual forma di schieramento. Attendevamo quanto meno un pronunciamento di Bompiani, che c’è stato ma nel cui merito Vittoria Alliata ha replicato non ritenendolo dirimente la questione. Non ci resta pertanto che auspicare che il tempo porti consiglio e che tra associazioni culturali, gruppi e quant’altro le relazioni possano incentrarsi, nel pieno e legittimo rispetto dell’autonomia di ciascuno, su posizioni tali per cui la parola Guerra nel nostro contesto non venga utilizzata mai più – se non per parlare dei tanti ambiti di interesse e fascino della lotta dei Popoli Liberi della Terra di Mezzo contro le forze dell’Oscuro Signore.