Tolkieniani Italiani – Intervista a fra Guglielmo Spirito

Un frate francescano a cui, passeggiando a una Hobbiton, venne chiesto quale personaggio tolkieniano stesse interpretando. Basterebbe questo aneddoto per capire perché fra Guglielmo Spirito OFM, sia oggetto di enorme benevolenza da parte di tutti gli appassionati che hanno la buona ventura di incrociare i suoi passi e il suo sguardo. Nemmeno un elemento carismatico come Giuseppe Scattolini è risultato immune dal benefico fascino esercitato da questa figura di ottimo ecclesiastico e gran conoscitore, oltre che appassionatissimo a sua volta, degli scritti del Professore. Non accontentatevi di questa intervista, se potete: cercate di incontrarlo a uno dei tanti appuntamenti col pubblico a cui, impegni permettendo (manco a dirlo è un viaggiatore instancabile), non si sottrae mai.


Anzitutto, padre Guglielmo, grazie per aver accettato di essere intervistato dai Tolkieniani Italiani. Per me è stato un vero piacere e un grande onore conoscerti all’incontro che organizzai con i Cavalieri del Mark lo scorso 15 dicembre assieme a Giovanni Carmine Costabile e Oronzo Cilli, per presentare proprio il libro di Costabile “Oltre le mura del mondo: immanenza e trascendenza in Tolkien” (Il Cerchio 2018). Cominciamo da qui il racconto: che cosa significa parlare di “trascendenza” in relazione a Tolkien? Costabile ha ragione ad usare questo termine?

Certamente è una parola adatta, perché la realtà “trascende” la nostra percezione immediata. I nostri occhi hanno bisogno di essere ripuliti contemplando lo splendore del mondo visibile, in prima persona: “Il ristoro (che implica il ritorno alla salute e il suo rinnovamento) è un riguadagnare, un ritrovare una visione chiara (…). Dobbiamo, in ogni caso, pulire le nostre finestre, in modo che le cose viste con chiarezza possano essere liberate dalla tediosa opacità del banale o del familiare –1. Questo è straordinariamente descritto da J.R.R. Tolkien in Foglia di Niggle

“Mentre si allontanava scoprì una cosa strana: la Foresta, ovviamente, era remota, eppure poteva avvicinarlesi, persino entrarvi, senza che essa perdesse quel suo particolare fascino. Mai gli era riuscito prima di entrare nella distanza senza trasformarla in semplici dintorni immediati. E questo aggiungeva considerevole piacere alla passeggiata in campagna perché, mentre procedeva, nuove distanze gli si spalancavano dinanzi, sicché si avevano distanze doppie, triple e quadruple, doppiamente, triplamente e quadruplarmente incantevoli. Si poteva andare avanti e avanti, avere un paese intero in un giardino o in un dipinto (se così si preferiva chiamarlo)”2.

Noi cerchiamo di contemplare ciò che sta oltre la superficie: di un mondo “altro” che si manifesta in questo mondo. La nostra vita si svolge in una linea di confine tra due mondi, poiché anche noi viviamo alternativamente nel mondo visibile e in quello invisibile. E perciò ci sono momenti (per quanto brevi, ridotti a volte addirittura a un solo istante) in cui due mondi si toccano e noi possiamo contemplare il contatto. È quanto avviene particolarmente nella Liturgia (pensate a una celebrazione liturgica in un abbazia benedettina, o in una chiesa bizantina, per avere un’idea simbolicamente evocativa). Per alcuni istanti si squarcia il velo del visibile e attraverso il suo strappo o la sua trasparenza, soffia l’alito invisibile di altri luoghi: i due mondi si svelano l’uno nell’altro – come le bambole russe –, si sciolgono le barriere dell’uno nell’altro e la nostra vita diventa una corrente continua, vivificante, come quando nell’afa l’aria calda sale in alto… Tutto quello che è relativo noi lo comprendiamo come tale solo alla luce dell’assoluto, proprio come tutti i colori e le tonalità si percepiscono solo in presenza della luce e del suono. Perciò “trascendenza”.

La seconda domanda che volevo porti riguarda Tolkien e San Francesco. Oronzo Cilli nel suo “Tolkien e l’Italia” (Il Cerchio 2016), in relazione al secondo viaggio in Italia di Tolkien, si spiega il fatto che il Professore non sia mai stato a Roma per il fatto che il cristianesimo che aveva nel cuore era il cristianesimo di San Francesco. Tu hai molto studiato e molto conosci l’argomento, anche attraverso i libri che hai pubblicato in merito: “Lo Specchio di Galadriel” e “Tra San Francesco e Tolkien” (entrambi per Il Cerchio 2006). Inoltre, lo stesso attuale pontefice della Chiesa Cattolica, Papa Francesco, è un tolkieniano ed ha scelto tale nome per il suo magistero. Quale importanza e quale attualità ha parlare di Tolkien in relazione a questo grande Santo della Chiesa, tanto generale quanto al giorno d’oggi?/em>

Riprendo la citazione sull’essere liberati dalla possessività, del poter rivedere il mondo con occhi puliti, grati, sapendoci non possessori: in questo – nel mondo sub-creato o Secondario -, la figura di Tom Bombadil, con la sua stupefacente libertà quasi “paradisiaca”, ai miei occhi evoca (nel mondo Primario) qualcosa dell’esperienza storica di san Francesco di Assisi e il suo goduto rapporto non possessivo con le creature. Precisamente dal punto di vista del godimento vero di ciò che è donato, gratuito, di ciò che non è posseduto ma che è semplicemente accolto perché sia custodito. “Io non sono il padrone delle cose, che poi sarebbe una grande noia!” direbbe Tom, e Francesco avrebbe ripetuto la stessa cosa. Se posseggo le cose, finisco per esserne oppresso; se mi limito ad accoglierle con gratitudine, sono libero di viverle assaporandole con gusto. Evoca, non allude né tantomeno simbolizza o allegorizza: cioè, qualcosa di affascinante incontrato nel mondo Secondario esiste o può esistere davvero nel mondo Primario. Per questo la lettura di Tolkien è tanto efficace, perché l’uomo “funziona” così…

Ora vorrei chiederti di raccontare ai tolkieniani di ciò che raccontasti a noi il 15 dicembre in merito alla relazione su Tolkien che tenesti di fronte a Priscilla e ai suoi familiari anni fa. Che cosa ricordi, cosa puoi raccontarci? Come si può parlare di Tolkien a chi non solo lo conobbe ma lo ebbe come padre e come nonno? Che emozioni provasti e soprattutto: che relazione tenesti e che reazioni vi furono?

Durante un Convegno su Tolkien all’Exeter College di Oxford nel 2006, mi trovai a parlare davanti a Priscilla Tolkien, fr. Robert Murray, Walter Hooper (segretario di CS Lewis), Verlyn Flieger, e altri grandi… Ero letteralmente terrorizzato, avendo in prima filo lo sguardo adusto di costoro (Priscilla sembrava mi guadasse come Lobelia Baggins, prima che io iniziassi a parlare)…eppure andò benissimo, tanto che erano commossi alla fine, pieni di parole gentili e incoraggianti, e così incominciai a sentirmi più sicuro, più spontaneo, e finimmo per sviluppare una vera amicizia, specialmente con Priscilla (mantengo tuttora la corrispondenza con lei), che un paio d’anni più tardi accetto persino l’invito a tornare ad Assisi, dopo più di mezzo secolo…

Uno dei più bei racconti che si sentono fare ai tolkieniani è la loro “prima volta”, cioè, la prima volta che hanno letto un libro di Tolkien, le emozioni che hanno provato e come ha cambiato loro la vita. Quando hai incontrato Tolkien, quando è stata la tua “prima volta”? Che emozioni si provano a vivere lì dove anche Tolkien è stato per una settimana ed ha lasciato il cuore?

È stato un incontro abbastanza casuale, se si può parlare di casualità. Mi trovavo in confessionale nella Basilica di San Francesco, ad Assisi, quando arrivò a confessarsi un ragazzo. Terminata la confessione, discorrendo del più e del meno, ero venuto a sapere che il ragazzo si trovava ad Assisi con alcuni amici di Busto Arsizio. Allora accompagnai il loro gruppo a visitare il Sacro Convento. All’epoca – e la vicenda si colloca nei primi anni Novanta –, non avevo ancora letto nulla di Tolkien, e così, venuti a saperlo i miei ospiti, ne erano rimasti particolarmente scandalizzati. Una settimana dopo, con mia estrema sorpresa, mi viene recapitato un pacco, proprio da Busto Arsizio, contenente una copia de Il Signore degli Anelli… Credo di averne terminato la lettura in pochi giorni: non riuscivo più a separarmene!

Questo incontro inaspettato cosa ha impresso nel tuo cammino, sia umano che come frate di Assisi?

Rispondo rifacendomi a Timothy Radcliffe OP – dei Blackfriars, a Oxford -, che è un mio amico. È anche un vecchio amico dei Tolkien (ha celebrato le nozze di Simon, figlio di Christopher e Faith; è stato anche allievo dell’unico domenicano, Gervase Matthew, che fu uno degli Inklings, e assieme a lui partecipò al funerale di Tolkien). Gli domandai: “Timothy, come descriveresti, in una battuta, la percezione della realtà in Tolkien?” E lui rispose: “Direi che ogni volta che leggi una qualsiasi descrizione tolkieniana del paesaggio avverti migliaia di tonnellate di roccia sotto i piedi.” E quando Timothy fece tale affermazione, il nostro pensiero volò subito a Le Due Torri: “Questo posto è già di mio maggiore gradimento”, disse il nano, pestando i piedi sulle dure pietre. “Vi è della buona roccia da queste parti. È una campagna dalle ossa robuste: le sentivo sotto di me mentre salivamo dalla Diga sin qui” 3. Così parlava Gimli a Legolas al Fosso di Helm. Quasi le stesse parole usate da Timothy Radcliffe.

Un’ultima domanda che penso sia doveroso farti. Il personaggio di Tolkien cui vieni paragonato di più è Gandalf. Cosa ti accomuna di più con Gandalf? Il paragone è centrato? Inoltre, io leggendo le pagine de Il Signore degli Anelli dedicate a Gandalf il Bianco, noto come lui per scacciare i Nazgûl dall’inseguimento a Faramir non usi il bastone (come farebbe un normale mago), ma la sua mano alzata: mi chiedo allora se in relazione a questo Gandalf, o per lo meno Gandalf il Bianco, non sia una sorta di figura sacerdotale nella Terra di Mezzo. Che vi sia un riecheggiamento del tutore di Tolkien, Padre Francis Morgan, in lui?

Non saprei riguardo a Padre Morgan; sì, in un certo modo è una figura che fa da “pontifex” (tra i Signore dell’Ovest e gli abitanti della Terra-di-mezzo, affaticati e oppressi dal Nemico), ma certamente non come l’immaginario occidentale odierno penserebbe un “sacerdote”. I miei amici potrebbero rispondere meglio di me, ma credo che – al di là del mio “ruolo” e della tonaca grigia da frate francescano conventuale, che mi rende per il colore simile “Gandalf il Grigio”, sebbene la mia barba bianca sia molto più corta…- credo, dicevo, che è piuttosto per il mio temperamento che mi paragonano al Grigio Pellegrino: sempre di fretta (anche se non ho Ombromanto), e con una certa facilità per rispondere bruscamente come Gandalf alle sciocchezze di Pipino!

1.- J.R.R. TOLKIEN, Albero e Foglia,Rusconi, Milano 1976,78-79.

2.- Ivi,129.

3.- J. R. R. TOLKIEN, Il Signore degli Anelli, 647.