LETTERA AI TOLKIENIANI DI VITTORIA ALLIATA
Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera inviata ai Tolkieniani Italiani dalla principessa Vittoria Alliata di Villafranca, traduttrice de Il Signore degli Anelli. In essa ci racconta con le sue parole, a beneficio del pubblico che non ha seguito puntualmente la vicenda che la riguarda in prima persona, la situazione che si è venuta a creare in seguito all’iniziative editoriale di Bompiani/Giunti che come ormai noto ha affidato a Ottavio Fatica una nuova traduzione del testo.
Ringraziamo con l’occasione sia Vittoria Alliata, che ringraziamo per il duraturo rapporto amichevole intrattenuto in tutti questi anni con la Società Tolkieniana Italiana, sia il presidente dell’associazione Tolkien melle Marche, i Cavalieri del Mark, Giuseppe Scattolini, in accordo col quale offriamo anche ai nostri lettori il testo inviatogli in prima lettura.
Nell’aprile del 2018 gli amici tolkieniani mi segnalarono un intrepido assalto alla mia traduzione del “Signore degli Anelli” (su Repubblica e allo stand Bompiani del Salone del Libro di Torino) in nome del nuovismo e del politically correct. Con garbo ma fermezza chiesi all’editore – tramite i miei legali – di dissociarsi pubblicamente dalle dichiarazioni diffamatorie di chi mi accusava di una “giovanile avventura improvvisata”, con nientemeno che “500 errori a pagina su 1500 pagine”. Accertato che la mia versione, quella vilipesa dai revisionisti benché (o proprio perché) approvata dallo stesso Tolkien, continuava ad essere stampata e commercializzata da Bompiani-Giunti in totale disprezzo della legge sul diritto d’autore e delle minime regole di correttezza, essendone ormai scaduti i diritti da parecchi anni, diffidai l’editore a ritirarla immediatamente dagli scaffali.
La risposta di chi ha incassato ad oggi milioni dalla mia traduzione, senza aver speso nemmeno un euro, rivelava che era in corso una revisione del mio testo, di cui mi si sarebbe “dato conto nel dettaglio, se lo desideravo (sic!) una volta concluso il lavoro di revisione, a settembre”. Non solo non si dissociava affatto dalle gravi offese proferite in mio danno, ma anzi, condizionava il pagamento di quanto dovuto per legge (sia per l’illecito uso della mia opera che per la sua manipolazione da parte di terzi già attuata nella versione Ebook) a due clausole vessatorie: l’obbligo di una revisione del mio testo “sotto tutela”, nonché l’obbligo di sottoscrivere un rinnovo del contratto per 10 anni, che includesse e sanasse il passato, a una cifra annua di 880 Euro.
E la grave diffamazione? E il tradimento delle volontà di Tolkien, che rivendicava una scrittura arcaica e rifiutava ogni “adeguamento ai tempi”? Tranquilla! Il provvido editore mi avrebbe consentito di presentare io stessa la mia traduzione, nella versione revisionata dagli “attualizzatori” di Tolkien, con un testo introduttivo che – oltre il danno la beffa – avrebbe in tal modo cancellato, gratuitamente e senza scuse, il reato di diffamazione. Non solo, ma incastrandomi in una sorta di letale abbraccio con il plotone nuovista, mi avrebbe resa in qualche modo complice della nuova traduzione, quella che “fa a pugni con il Signore degli Anelli” (Repubblica), quella di chi non lo aveva letto prima di tradurlo e pensava che Tolkien fosse un autore “sgangherato, come lo è tanta letteratura fantasy” (il Venerdì), quella, insomma, “che ha suscitato un oceano di ringhiante disappunto“ e “una bufera di inaudita ostilità” (Corriere della Sera).
Non poteva che essere questa la reazione dei lettori di fronte all’esperimento di “diffuso abbassamento dell’epicità” di Tolkien “laddove quella di Alliata puntava a un innalzamento” (sic CdS!). Lettori che si sono dimostrati assai più avveduti e attenti di quanto non pensassero gli intellettualoni revisionisti: infatti, pur magari non conoscendo (o forse invece sì? Ma perchè bisogna sempre svilire e offendere le persone normali?) gli stilemi danteschi utilizzati da una sedicenne per rispettare le esigenze epiche, etiche e poetiche dell’autore, ne hanno colto la forza affabulante ed evocativa, e non li hanno scambiati per “750mila errori”.
“Di un lancio così goffo non c’è forse memoria nella storia dell’editoria italiana”, scrive il Corriere, a commento delle migliaia di battute, vignette, filmati, tutti eleganti e creativi, che hanno inondato il web di disappunto e costernazione. Valentino Bompiani – il quale mai avrebbe commesso simili “scelte ingiustificabili” (CdS) – si sarebbe tuttavia personalmente e pubblicamente scusato del disonesto tentativo di stroncare il messaggio, terreno e sublime al tempo stesso, di un maestro grande e schivo, che merita ben altro rispetto e considerazione.
Non così i nostri eroi. All’ultima diffida dei miei legali hanno replicato con un ineffabile verdetto, secondo il quale “oltre a non accettare di revisionare la propria traduzione, la sua cliente sceglie di affossarla – ora e in via definitiva – con il ritiro dal commercio”; poi, di fronte al flop delle vendite del nuovo “prodotto” e ai commenti dei lettori che suggeriscono di acquistare anzi “collezionare e regalare, prima che scompaia, la vecchia edizione”, essi giocano un’ultima, miserevole carta. Quella della cosiddetta pubblicità comparativa, che non può essere utilizzata neppure per denigrare il detersivo della concorrenza, ma che in questo caso vediamo adoperata in modo ingannevole e subliminale per lucrare su entrambi i “fustini di detersivo” sfruttando il clamore mediatico. Appaiono così disperate “recensioni” su spelonche, quadernetti e bancarelle, e persino cartelloni e promozioni stile “prova finestra”, dove si finge di mettere le due versioni a confronto, e in realtà si traveste da dibattito culturale la denigrazione e un’infima campagna commerciale. Tutto ciò in dispregio di ogni norma così come del buon gusto.
Una reazione tutto sommato simile a quella di Rusconi del 1996, che rifiutò – per non spendere poche lire – la mia richiesta di rivedere il testo, che presentava ancora gli stessi refusi dell’edizione Astrolabio, con buona pace di quei saltimbanchi che si affannano a sostenere, contro ogni evidenza, che qualcuno nel 1971 avrebbe addirittura riscritto la mia traduzione. Rusconi respinse anche la mia proposta di un’introduzione più adatta a illustrare gli intenti e la figura dell’Autore, nonché di un mio commento per spiegare le scelte di stile e della nomenclatura. Poco dopo il rifiuto una nuova edizione uscì comunque, e sempre con gli stessi refusi, ma con un’introduzione in cui si dava dell’opera di Tolkien un’interpretazione “pagana”, neogotica e tenebrosa, quasi fosse da collocare nel retaggio letterario di un satanista come Aleister Crowley. D’altronde appena un mese fa il concetto è stato ripreso dal Venerdì di Repubblica, che nell’impeto della contesa fra i “fustini” ha definito il Signore degli Anelli “un imprendibile nido di draghi”. Dove i draghi sarebbero/sareste/saremmo quei “fan iperfaziosi da curva sud” che difendono come “un vecchio orsacchiotto di peluche” la sua “lingua antichizzata” – dimostrando, una volta di più, di non aver capito nulla, o di non voler capire.
Cosa significa tutto ciò? Che Tolkien non ha trovato, a parte Astrolabio, l’editore italiano capace di apprezzarne il ruolo universale e di esaltarne la figura e lo stile, con il contributo di tutti coloro che nel corso di questi anni, specialmente in Italia, hanno studiato le complessità di un messaggio che – proprio perché insieme epico ed etico – costituisce una seria minaccia all’oligarchia finanziaria e tecnocratica che
mira all’oppressione globale, alla schiavitù delle menti e dei cuori e all’appiattimento, anzi alla distruzione, di ogni differenza e identità culturale.
In questa situazione, è evidente che la mia traduzione, proprio perché voluta dall’Autore e da coloro che lo amano davvero, non può rimanere sugli scaffali accomunata a chi la gestisce come un fustino di detersivo. E visto che l’ultimo solone comparatore ha decretato in proposito che “il budino si giudica all’assaggio”, che il web è pieno di “ingenui” (leggi “ignoranti”) che non capiscono “il respiro vibrato che emerge dal ritmo quando si svolge l’azione e l’indulgenza nelle manifestazioni climatesche avvolgenti”, e che infine le “indicazioni (dell’Autore) per i traduttori non sono vincolanti”, ma che contano soltanto – così decretano i veri competenti – le “isotopie semiotiche”, gli “ingenui” converranno con me che la traduzione approvata da Tolkien debba essere sottratta una volta per tutte a cotanto editore, che, senza neppure rendersene conto, è il primo e autentico nemico di un suo stesso Autore. Un Autore amato da milioni di lettrici e lettori che vi ritrovano la bellezza e l’importanza di combattere per preservare le proprie radici, nonché la sofferenza e i travagli di chi si oppone e continua a opporsi all’“oscuro potere” che, sotto la vecchia e marcia insegna dei “tempi nuovi”, nasconde l’asservimento dei corpi e delle intelligenze sotto il nome di libertà.
Vittoria Alliata di Villafranca