L’ultimo degli Inklings

In occasione dell’anniversario della scomparsa di Christopher Tolkien, La Biblioteca dei Quattro Decumani accoglie una pubblicazione in memoriam, realizzata in collaborazione e grazie a Tolkien Italia. Di seguito, il link per scaricare il libro elettronico e il testo della prefazione.


Se c’è un aspetto singolare nel modo in cui gli amanti delle opere tolkieniane dimostrano il loro attaccamento a quelle pagine ispiratrici, si tratta senz’ombra di dubbio del modo a tratti controverso con cui accolgono e ricordano la figura di Christopher John Reuel Tolkien. La sua dedizione alla cura e alla diffusione del vastissimo corpus di scritti di suo padre, John Ronald Reuel, è la sola ragione per cui si è sviluppato un percorso di studio che sta finalmente rendendo giustizia del Tolkien accademico oltre che autore pregiatissimo: pure sono in tanti (troppi) a mettere in dubbio le reali motivazioni che animarono Christopher e il suo intimo legame con la Terra di Mezzo e in generale con l’attività intellettuale di suo padre. 

Non si dovrebbe mai dimenticare che, se abbiamo ormai da decenni la possibilità di godere pienamente di queste opere e delle belle emozioni e opportunità di condivisione che da loro scaturiscono, ne va reso merito esclusivamente a Christopher Tolkien. Questa pubblicazione, che non a caso esce nel secondo anniversario della sua scomparsa, mira dunque a ravvivare l’ammirazione e la gratitudine che si deve a chi ha dedicato la sua vita essenzialmente a questo.

Alla morte di J.R.R. Tolkien, nel 1973, Christopher ebbe la nomina a esecutore testamentario del patrimonio letterario di suo padre, cosa che all’atto pratico si concretizzò in una settantina di scatoloni colmi di carteggi e note che trattavano ogni ambito della sua attività accademica e narrativa, dalle lezioni accademiche alle teorie ed elucubrazioni sulle lingue degli Elfi della Terra di Mezzo. Chiunque ci segua da qualche tempo è già ben al corrente che il lavoro sulle prime versioni dei miti di Arda era iniziato già a cavallo degli anni della Grande Guerra ma, anche dopo più di sessant’anni, era ancora un cumulo di bozze, brani incompiuti, innumerevoli variazioni di stile, modifiche alle trame delle vicende e stravolgimento di nomi e toponimi – il cavallo di battaglia di Tolkien, nonché cuore pulsante del suo slancio intellettuale e pilastro del legendarium. Siccome Christopher aveva preso parte attiva alla composizione di tali testi già dalla prima infanzia, restandone legato per tutta la vita, fu naturale che la prima curatela a cui si dedicò fu proprio la risistemazione di questi antichi miti (antichi sia per quanto riguarda la loro genesi che nel contesto della Terra di Mezzo) in quello che sarebbe poi stato dato alle stampe nel 1977 con il titolo di Il Silmarillion. Questo volume, uscito volutamente in forma di serie di racconti armonizzati con le vicende de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli, ha accompagnato tantissimi devoti lettori alla scoperta di quanto fosse vasta e minuziosamente ricostruita l’ambientazione di quelle vicende e reso ancora più intensa l’esperienza dell’immersione nella loro lettura, cosa che probabilmente non sarebbe avvenuta (se non in misura necessariamente inferiore) se la raccolta fosse stata pubblicata in forma di edizione critica con tanto di apparato di note e confronto delle varie versioni, come invece avvenne in seguito con altri titoli successivi.

Quest’impresa editoriale, con la prima pubblicazione di una lunga e fortunata serie, prese così il via: come ricordò due anni or sono John Garth, nel suo pezzo commemorativo pubblicato sul Guardian, Christopher Tolkien si accomodò a tavolino assistito da Guy Gavriel Kay dopo aver compulsato, cernito e collegato tra loro i vari materiali che trattavano le prime tre ere della Terra di Mezzo, limitando le sue personali valutazioni letterarie al minimo indispensabile per porre in correlazione le varie fonti e colmare le inevitabili lacune: il tutto fu composto sui tasti della stessa macchina per scrivere su cui J.R.R. Tolkien si era personalmente indaffarato per decenni. Il nuovo testo andava così a chiudere idealmente il cerchio: per quanto non potremo mai sapere in che misura esso avrebbe rispecchiato le intenzioni di J.R.R. Tolkien se fosse riuscito a pubblicarlo egli stesso, si trattava comunque di qualcosa che lui avrebbe voluto veder dato alle stampe – né alcun altro che non fosse il suo terzogenito, unico che avesse seguito da vicino e da dentro le fasi in cui la visione della Terra di Mezzo venne plasmata nella sua forma più recente, sarebbe stato in grado di portare a termine l’operazione. Chissà se quei due si erano resi conto che, oltre a inserire altre preziose tessere nel mosaico letterario, stavano dando il via a un’operazione senza precedenti, lanciando un intero filone di letture e studi su un ciclo letterario che a tutt’oggi costituisce un unicum ineguagliato e forse irripetibile. Tale operazione è raccontata nel secondo e nel terzo articolo di questa raccolta, che esordisce ricordando il riconoscimento forse più gradito a Christopher Tolkien per ciò che ha fatto e che ci ha lasciato in dono. 

Vi è però un aspetto del contributo di Christopher Tolkien al legendarium tolkieniano al quale, forse, non è stata ancora resa giustizia come meriterebbe: si tratta della sua opera cartografica. Non tutti infatti sanno che fu lui l’autore delle mappe più celebri pubblicate unitamente ai libri, a partire dalla celeberrima carta della Terra di Mezzo fino a quelle, in scala maggiore, della Contea e di Gondor accanto a Mordor, per chiudere il cerchio con la mappa del Beleriand a corredo del Silmarillion. Se infatti John Ronald Reuel si limitava a tratteggiare schizzi che aiutassero nel redigere le storie, ma non riuscendo mai a dedicarvisi al punto da ottenere quel risultato esauriente e dettagliato che il suo occhio esigente avrebbe voluto raggiungere, Christopher vi si dedicò con maggior cura e, per quanto egli stesso confessò di non essere riuscito a evitare inesattezze ed errori ortografici, suo padre ne fu alquanto soddisfatto. Arrivò infatti a esternare una certa irritazione quando Christopher dovette recarsi in Sud Africa per il suo addestramento nei quadri della RAF, non potendo quindi dedicarsi ai ritocchi cartografici, dei quali parlò con ammirazione a N. Mitchison in un’altra delle sue lettere. Tutto questo, assieme ad altri interessanti dettagli sulle carte, è stato oggetto di una bella ricostruzione a opera di J. Crowe in un articolo su tor.com redatto a pochi giorni dalla notizia della morte di Christopher Tolkien, articolo che da solo meriterebbe a sua volta un ampio approfondimento.

Non resta dunque che lasciare spazio agli articoli, ancora consultabili su Tolkien Italia, i quali però trovano un senso maggiormente compiuto in questa monografia. Essa punta a collocare nella meritata evidenza colui che ha reso possibile conoscere a fondo uno dei più grandiosi cicli narrativi di sempre, cui egli stesso si è dedicato apportando un prezioso contributo e in cui è giunta ai giorni nostri la magia di un circolo letterario privato tra i più suggestivi mai costituitisi: quello degli Inklings.