Tolkieniani Italiani – Intervista a Fabio Leone
Fabio Leone nasce nel 1979 a Latina. Nel 2004 si diploma in Pittura ad olio all’Accademia di Belle Arti di Roma. Dal 2005 al 2008 lavora quasi esclusivamente come pittore di icone tradizionali cristiane. Dal 2008 affiancato mia moglie nel suo lavoro di illustratrice. Nel 2009 viene rappresentato dall’agenzia Bright, collaborazione che si protrae fino al 2017, dipingendo per commissioni nel settore educazionale/storico, e dedicandosi al thriller/horror e al fantasy a titolo personale. Nel 2013 vince il Language Learner Literature Award per le sue illustrazioni di The Legend of Sleepy Hollow di Washington Irving. Nel 2015 gli viene assegnato il Tolkien Society Award per Best Artwork, con l’opera Ulmo appears before Tuor. Le sue illustrazioni sono incluse in molte pubblicazioni in giro per il mondo, edite da Miles Kelly, Compass Media, Pearson, Oxford University Press, Nelson Evergreen, MacMillan, Skolska Knjiga, Bill Studio Group, Qbs Learning, Templar e altre. Andiamo a fare la sua conoscenza per tramite del fuoco di fila delle domande che gli ha posto Giovanni Costabile.
Caro Fabio, innanzitutto lascia che ti ringrazi a nome dei Cavalieri del Mark e della Società Tolkieniana Italiana, nonché a titolo personale, per aver acconsentito a rispondere alle nostre domande. Sei un grande nome per gli appassionati di Tolkien e un punto di riferimento tra gli illustratori tolkieniani italiani. Pensa che quando ho detto alla mia ragazza (tolkieniana di puro sangue Eldarin anche lei) che ti avrei intervistato, lei ha esclamato: “No! Per davvero?”
Sono lusingato, è sempre un piacere essere raggiunto dal pubblico. Onestamente non mi capita spesso e, tempo permettendo, cerco sempre di condividere la mia esperienza con chiunque ne possa giovare. Un avviso ai lettori: detesto cordialmente i “VIP” che si allontanano dal pubblico. Sono un tipo alla mano e potete contattarmi liberamente sui social. Nei limiti di tempo risponderò come posso.
Beh, io parteggio per l’idea di cominciare con le domande difficili. Tolkien è noto abbia scritto che le illustrazioni ai suoi libri dovrebbero riguardare i soli ambienti e paesaggi, per lasciare ai lettori la libertà di immaginare da sé i personaggi. Impose ciò persino a una grande artista come Pauline Baynes. Ma in effetti molti mi dicono che faticano a immaginare i personaggi tolkieniani al di là dei film di Peter Jackson, sebbene io non abbia mai avuto un simile problema perché sono ospite a Gran Burrone ogni altro fine settimana. A parte gli scherzi, come giustifichi il contravvenire, chiaramente diffusissimo e non solo tuo, ai desideri di Tolkien?
Tolkien, come altri grandi autori, comprendeva pienamente il meccanismo di “proiezione/identificazione” che il lettore pone in essere quando interagisce con l’opera d’arte. Un bel paesaggio dipinto può “tirarci dentro”, specialmente se osserviamo grandi tele di maestri paesaggistici, una storia scritta secondo gli stessi stratagemmi usati da Tolkien permette al lettore di “riempire” gli spazi vuoti adoperando il proprio “archivio interiore d’immagini” e, di rimando, sviluppare un legame più forte con personaggi che, almeno in parte diventano proiezione del pubblico. Se ci pensate bene I manga utilizzano spesso questa dinamica rappresentando gli eroi con uno stile molto semplice, ai limiti dell’astratto, mentre l’antagonista è reso estraneo, “altro da me”, venendo rappresentato in modo più realistico… è più facile percepire l’entità “separata” come sconosciuta ed inquietante. Altro esempio brillante ed eloquente è il fumetto “Le avventure di Tin Tin”, creato da Georges Remi, ove il personaggio principale può facilmente rappresentare chiunque lo legga, data la semplice estetica con cui è rappresentato, ma essendo un fumetto basato su esplorazione e scoperte, è il paesaggio ad essere rappresentato in modo realistico e, di rimando, misterioso e sconosciuto. Gli artisti che scelgono di affrontare Tolkien proiettano la loro estetica nel cercare di dare forma ai personaggi… è quasi inevitabile (dico “quasi” perché c’è chi sceglie volontariamente di dare il posto d’onore al paesaggio ed alla storia in esso intessuta, come ad esempio Ted Nasmith). La sottile linea da non oltrepassare è , per me, il non tradire “troppo” Tolkien, rappresentandolo con ponderato rispetto per la sua opera, intenzione, morale, filosofia… in altre parole: illustrando Tolkien nel senso etimologico del termine: “fare luce, rendere chiaro, spiegare”. Detesto quando un artista sfrutta un autore per parlare delle proprie idee… non sta illustrando, sta sfruttando la fama altrui. Discorso a parte merita la ripetizione non immaginifica delle scene dei film… capisco che il cinema sia media potentissimo (ed il nostro cervello si è evoluto per trattenere con maggiore chiarezza informazioni in “movimento”) ma non riesco a valutare nulla di più dell’autore dell’immagine tranne che la capacità tecnica della copia, non c’è vero dialogo con tali dipinti, solo un proclamo da parte dell’artista che sembra dire “Hey! Mi piace questa scena!”. È un’opportunità sprecata.
D’altronde Tolkien scriveva anche che intendeva lasciare la Terra di Mezzo ad altre mani, menti e voci. Adesso entriamo nel vivo e prendiamo direttamente in mano una coppia di tuoi lavori, il maestoso Elessar e la regale Queen Arwen Undomiel. Penso sia la prima volta che vedo i due personaggi raffigurati in età avanzata e ti faccio i miei complimenti per l’originalità dell’approccio, due opere veramente notevoli. Ci racconti come le hai pensate, come è nata l’idea?
Il primo a “venire a galla” nella mia immaginazione è stato Elessar. Come ho accennato precedentemente, le immagini della trilogia cinematografica erano (e sono) canone in questi anni. Avevo già dipinto alcuni ritratti ed avevo pensato di rivolgermi ad Aragorn. Non molti lo hanno rappresentato come Elessar, come colui che ha finalmente preso su di se il ruolo di Re dei regni di Gondor/Arnor e volevo che la rappresentazione rispettasse l’età del personaggio. Essendo Númenóreano Aragorn “si mantiene bene”, ma non è neanche un arzillo 30enne ai tempi dell’incoronazione. Ecco allora che ho preferito rappresentarlo più anziano, con qualche cicatrice sul volto, I segni di una probabile frattura al setto rimarginata (aguzzate la vista!) e qualche dettaglio che dia spessore al suo background: la spilla di Lothlorien, un manto rosso regale, una corona che rappresenti in modo adeguato le tradizioni di Gondor. Per I puristi: garantisco che ho tentato di rappresentare la corona in modo “ortodosso” rendendola simile allo schizzo di Tolkien e nel solco della cultura egiziana dei faraoni… ma non funzionava. Per un primo piano dovevo ridurre qualcosa. Chiedo venia. La seconda, Arwen, è emersa da una esigenza differente ma si è incastonata nella stessa logica estetica del suo celebre marito: sto ragionando molto tempo un dipinto con lei protagonista ed ho pensato che studiare un ritratto mi avrebbe favorito nel dipingerla successivamente in una situazione più complessa. Come per Elessar ho deciso di rappresentarla in un momento differente dalle solite rappresentazioni ed attingere dalle Appendici. Nella mia mente Arwen sta ascoltando le parole di Aragorn “In sorrow we must go, but not in despair. Behold! We are not bound for ever to the circles of the world, and beyond them is more than memory. Farewell!”. Questa Arwen è rappresentata con I capelli più corti, probabilmente in lutto, I capelli corvini che si dice ereditati dalla bis-bis-nonna Luthien, sono ingrigiti. Come Elessar lei dispone di una lunga vita ma al “passaggio” di lui anche lei sente che il tempo di lei è al termine. Sta per partire da Gondor per recarsi a Cerin Amroth e lì rendere lo spirito ai Valar come mortale. I colori che lei indossa richiamano l’autunno, la corona la cultura elfica e… si, preferisco orecchie a punta per gli elfi… dopo aver ruminato molto tale dilemma.
Passiamo al magnifico Gandalf the servant of the Secret Fire. È evidente in tale opera l’ispirazione dall’iconografia ortodossa, che inizialmente può apparire una scelta bizzarra, sebbene trovi riscontro anche nelle interpretazioni dell’artista inglese Jay Johnstone. Come commenti la tua interpretazione?
Penso che molti dipinti “personali” nascano dal pensiero dell’autore quando si dice “sarebbe divertente se…”. Ho una passione per l’arte della pittura d’icone, conosco la tecnica ed i metodi. L’ho praticata per anni… poi leggendo Tolkien mi sono trovato in linea con quanto un lettore gli fece notare: sembra che una luce brilli ma senza che alcuna lampada sia visibile. Di per se è una descrizione molto…Cristiana! So bene che Tolkien si è opposto arduamente contro le letture “allegoriche” della sua opera e la mia scelta di rappresentare Gandalf come un Santo (solo i santi possono essere rappresentati in icone) non ha intenti allegorici. Ma è interessante notare come Gandalf abbia molteplici punti in comune con la figura del “Santo” cristiano. Riflettendo su questi punti di contatto un giorno, mentre ragionavo sul come “rinfrescare” la mia conoscenza circa tecnica iconografica mi sono detto: “perché non Gandalf?”. Così ho applicato i canoni estetici e tecnici nell’elaborare un disegno del Gandalf Archetipico, dotato dei suoi attributi propri (Glamdring, il bastone, il manto, il cappello, I colori propri) ed il volto tipico degli asceti orientali. Non volendo usare il Nimbo dorato, che si conviene solo ai santi, ho declinato l’idea già da me applicata del poema dell’anello usato come Nimbo (o “aureola” se prefereti il decadente termine post-Giotto): essendo Gandalf non sotto l’influenza dell’Unico Anello, il suo volto non è circondato dal poema dell’anello ma dal simbolo che lo identifica come messaggero di Eru Iluvatar “I am a servant of the Secret Fire, wielder of the flame of Anor”, frase con cui dichiara autorità sopra la “fiamma di Udun”. È stato per me un lavoro infinitamente divertente, ma confesso di aver ricevuto una bella ripassata dalla mia maestra d’icone. A titolo personale posso dire di apprezzare lo sforzo di Jay Johnstone, soprattutto nelle ultime sue opere “iconografiche”, ma Tolkien non scriveva “imitando la vecchia letteratura”, lui scriveva la letteratura che amava… allo stesso modo penso che la scelta di rappresentare Tolkien con stile iconografico sarebbe più confacente se fatto come moderne icone dipinte nel solco della tradizione iconografica tradizionale e non “imitando vecchie icone” come Johnstone sembra preferire. Talvolta sono piuttosto difficile da accontentare, lo so, ma è solo perché amo l’arte delle icone.
Ora ho scelto proprio quest’opera anche per un altro motivo, ovvero che l’ispirazione ortodossa suggerisce esplicitamente una simbologia religiosa cristiana, che pure certuni contestano. Tu come ti poni nella controversia sul Tolkien cattolico? Ci sono margini secondo te per dubitare che l’opera di Tolkien sia cattolica come il suo autore, pur senza nulla togliere ad altre indubbie influenze?
No. È lampante. L’opera di Tolkien è ardentemente religiosa. Alcune opere lo sono meno (prendiamo ad esempio Roverandom o Farmer Giles of Ham), ma Il Signore degli Anelli è profondamente religioso. Penso che la controversia sia solamente apparentemente legata al dibattito circa il “Tolkien cattolico” ed invece segno dell’intimo smarrimento e fastidio che taluni provano quando si scoprono emozionati ed ispirati da un autore che ha molto di cristiano da dire… sebbene contemporaneamente si disdegni il cristianesimo in tutte le sue forme, secolari e non.
Ora un momento retrospettiva. Uno dei post sempreverdi nei gruppi tolkieniani domanda agli altri appassionati come si è conosciuto Tolkien per la prima volta, oppure, come mi piace esprimere la stessa idea, per quale porta (rigorosamente tonda) o finestra si è entrati in casa Baggins. Hai avuto un tuo personale Gandalf che ha lasciato una runa per te su quella porta?
Ne ho due. Il primo è il fratello di un mio grande amico d’infanzia, Alessio. Abbiamo molti gusti in comune ed un giorno (ci conosciamo da quando eravamo undicenni) gli dissi che stavo leggendo “La spada di Shannara”. Suo fratello, che aveva il naso in un fumetto (mi pare Nausicaa), alzò il detto naso dalle dette pagine e disse: “Tolkien… solo Tolkien!”. E tornò a leggere. La seconda runa fu graffiata da “La storia infinita” cinematografico: Il libraio chiede a Bastian, ironicamente, se sapesse cosa I libri siano… e Bastian risponde di aver in casa 137 libri… ed elenca: “L’isola del tesoro”, “Il mago di Oz”, “L’ultimo dei Mohicani”, “Il signore degli anelli”… Quella lista mi è rimasta dentro. Conosco il film praticamente a memoria e quel libro, quell’autore continuavano a saltar fuori ovunque come una montagna all’orizzonte. Alla fine ho chiesto a mia madre di comprarmi una copia, avevo 12 o 13 anni. Il resto è storia.
Ma questo è stato solo l’inizio. Da allora ne hai fatta di strada insieme a Tolkien, se nel 2015 hai visto assegnarti il Tolkien Society Award per Best Artwork con Ulmo appears before Tuor. È un riconoscimento straordinario per un artista tolkieniano pur non essendo l’unico premio che ti è stato attribuito, e posso solo immaginare l’entusiasmo con cui hai accolto la notizia. Vuoi raccontarci come è andata?
Ho acceso il pc la mattina e trovato 137 notifiche. Ho pensato: “ma che cavolo..?”. Poi mi sono seduto, incredulo. Quando mia moglie si è alzata le ho semplicemente detto: “Non ci crederai, ma ho vinto”. Abbiamo preparato I bambini per l’asilo… poi nel resto della giornata ho lavorato per rispondere a messaggi ed email. Niente feste selvagge ma ne sono davvero soddisfatto.
Domanda di rito. Quali sono i modelli della tua arte? Credo di aver letto da qualche parte che tra i tuoi riferimenti illustrativi c’è il grandissimo Donato Giancola, e posso confermare che all’occhio si nota, ma ricordo un commento di Stefyart sul tuo profilo Deviantart che paragona il tuo stile a Rembrandt e Caravaggio, e penso anche a una tua illustrazione non tolkieniana, una delle tue prime opere, intitolata Jealousy. Qui mi pare di notare un taglio allegorico che ha del preraffaellita, se non mi inganno. Cosa c’è di vero in tutto questo?
Questa particolare illustrazione proviene da un libro pubblicato anni fa dalla Pearson, se non sbaglio, la protagonista, sul fondo, guardava con invidia I personaggi in primo piano. Ai tempi stavo cercando di stabilire uno stile che mi stimolasse ad approfondire. I preraffaelliti sono sempre in cima alla pila di libri che sfoglio per ragionare su delle soluzioni e nel dipingere questa illustrazione mi appoggiai a Waterhouse ed il suo “Mariamne Leaving the Judgement Seat of Herod” per studiare la tecnica e catturare quella specifica atmosfera. Ora come ora questo lavoro mi imbarazza perché prende troppo in prestito da Waterhouse. Giancola è uno dei pilastri della mia “idea estetica”. Per dare contesto faccio un salto indietro: ho avuto esperienza terribile in accademia delle belle arti ed il modo in cui la mia classe di pittura è stata guidata era riuscita ad annientare quasi tutta la mia voglia di dipingere. Stavo per “appendere al chiodo” il pennello. Un giorno però, sfogliando le pagine di un libro, vidi “The Taming of Smeagol” di Giancola. Opera eccezionale. Rinascimentale nell’anima, moderno nelle ispirazioni, tecnica perfetta. Ho pianto guardandola ed ho realizzato che potevo anche io trovare qualcosa che mi emozionasse nel dipingere. Quel singolo quadro mi ha salvato. I paragoni con Caravaggio e Rembrandt mi lusingano, e sono troppo gentili.
A proposito di quest’ultima opera, ricordiamo infatti che la tua arte prende anche spunto da altre fonti, di solito comunque opere letterarie, cinematografiche e videoludiche di genere fantastico e horror, da Batman a Game of Thrones, da God of War a Ladyhawke. In base a quale criterio scegli i tuoi soggetti, fintantoché la scelta non appartiene invece al committente?
C’è chi si emoziona nel dipingere ritratti, chi un manga, chi strappone scosciate. Tutti noi, mi azzardo a suggerire, siamo diapason… vibriamo in accordo con frequenze ristrette e mirate. Io rispondo alla tragedia, all’indagine interiore, all’eroismo epico. Non riuscirei a rappresentare con la stessa sincerità una eroina seminuda… ma datemi un personaggio dalla psicologia complessa ed io vado a nozze. Per questo, probabilmente , mi sono trovato a scegliere Navarre, Jamie Lannister, suo padre Tywin come protagonisti di illustrazioni. Hanno così tanto da dire! Così tanti dettagli possono essere inseriti per compensare la “densità di dettagli” necessari a delineare un volto dalla psicologia complessa! Ad esempio con Tywin ho potuto dipingere la storia di Casterly Rock sulla sua armatura, o con Navarre inserire elementi che spieghino il suo amore per Isabeu (come la treccia bionda fasciata di pelle che lui porta accanto al petto). Provate ad analizzare il mio “Stregone di Angmar” e troverete abbastanza dettagli per ricostruire una storia ipotetica da me composta per narrare gli eventi prima del suo “sbiadimento”! Trovo “God of war” un moderno capolavoro di design e “world building”. Non l’ho mai giocato, ma ho il libro del “Making of”. È oro zecchino per la ricerca artistica.
Infine torniamo ancora sui tuoi lavori tolkieniani. Chi ti segue ha notato la pubblicazione di uno studio su Eowyn. Come procede il lavoro su questo tema? Quando possiamo aspettarci una tua interpretazione della famosa scena del Re Stregone ne Il ritorno del re? Dopo la raffigurazione veramente unica che hai fatto del Signore dei Nazgûl prima di diventare Spettro, vedremo anche il Primo dei Nove ergersi in tutta la sua oscura maestà, prima che la Dama di Rohan lo vanifichi del tutto?
Il dipinto di Eowyn è in lavorazione da circa 3 anni. Gestazione complessa. Un rapporto attrattivo/repulsivo. Considero Il passaggio del confronto di Eowyn con il Dwimmerlaik tra I migliori della letteratura mondiale moderna su cui ho messo gli occhi. Mi terrorizza l’idea di non rendere giustizia alla dama di Rohan. “But the helm of her secrecy had fallen from her, and and her bright hair, released from its bonds, gleamed with pale gold upon her shoulders. Her eyes grey as the sea were hard and fell, and yet tears gleamed in them. A sword was in her hand, and she raised her shield against the horror of her enemy’s eyes”. Che parole. Mi commuovono anche ora che le ho citate qui. Sarò all’altezza di renderle visibili? Questo dipinto mi tormenta da anni. Sono arrivato ad una fase di stallo circa un anno fa. Poi, al Lucca Comics del 2018 ho avuto modo di sottoporlo all’attenzione di Todd Lockwood per chiedere lumi sul come procedere. Durante il suo workshop mi ha mostrato come risolvere alcune criticità ed ora sono pronto a continuare… Sarebbe un sogno completarla per il Tolkien Society Award di quest’anno, ma al momento le possibilità che ciò si realizzi sono scarse.
Per concludere, ti porgo di nuovo i miei e nostri ringraziamenti, con un’ultima richiesta. C’è un augurio che vorresti fare ai giovani artisti tolkieniani in erba? Intanto ti offro il mio, in lingua Quenya, perché ci sono cose che solo la lingua degli Elfi di Aman può dire. E allora, caro amico, con l’auspicio di risentirci presto, Alassë.
Alassë amico mio e per gli artisti Tolkieniani in erba, Tolkien scrisse: “Fantasy is escapist, and that is its glory. If a soldier is imprisoned by the enemy, don’t we consider it his duty to escape?. . .If we value the freedom of mind and soul, if we’re partisans of liberty, then it’s our plain duty to escape, and to take as many people with us as we can!”… Le chiavi per liberare il soldato sono nelle vostre mani.