Fra i tanti illustratori che si ispirano alla Terra di Mezzo per le loro creazioni, un gran numero si sono avvicinati a questo tipo di raffigurazioni dopo l’uscita della prima trilogia di P. Jackson (non solo per motivi anagrafici, va detto). Inevitabile quindi che queste produzioni artistiche risentano in maggiore o minor misura delle suggestioni cinematografiche. Ma non mancano le eccezioni di pregio: Giuseppe Scattolini ci permette di conoscere meglio Simona “Brunilde” Jero, esponente della corrente di chi invece si affida alla propria visione presentando scenari e personaggi dall’aspetto originale.
Carissima Simona, la prima cosa che vorrei chiederti è: quando ed in quali circostanze hai conosciuto Tolkien? Cosa ti ha appassionato fin da subito dei suoi testi? Quando hai deciso di cominciare a fare delle opere d’arte sui suoi scritti, e perché?
Dunque, andando a ritroso con gli anni, direi molto tempo fa. Precisamente intorno al 1992 quando un amico mi diede in prestito una copia de “La compagnia dell’anello.” Confesso che non è stato amore a prima vista – forse, perché ero troppo giovane – ma una passione che si è consolidata dopo la visione dei film. Sebbene la mia opera preferita rimanga tuttora Il Silmarillion. Delle opere del professore mi risulta difficile dire cosa mi affascina, se non affermare che sono intrise di magia; non nel senso comune della parola, ma nel senso che rappresentano per me un qualcosa di unico e straordinario. L’idea di realizzare delle tavole è nata quasi spontaneamente, e, soprattutto, dal desiderio di dare un volto ad alcuni personaggi che mi hanno affascinato e mi affascinano particolarmente.
Come ti ho detto più volte, secondo me la tua arte è tra le più originali quanto allo sguardo e all’interpretazione di Tolkien, soprattutto perché rimane difficile per tutti gli artisti riuscire a prendere realmente le distanze dai due artisti tolkieniani per eccellenza, John Howe e Alan Lee, e se vogliamo anche dal terzo, Ted Nasmith. Spiegaci ampiamente che cosa ti ispira di Tolkien, come tu lo interpreti, e se l’arte può essere una fonte interpretativa dei testi tolkieniani in una misura inferiore, simile o addirittura superiore a quelle della filologia, della filosofia, della teologia, della ricostruzione storico-biografica e bibliografica, od altre.
Anzitutto ti ringrazio per le tue parole gentili, e per la considerazione che hai, da sempre, a proposito delle mie umili interpretazioni. E dico umili quando, giustamente, vengono menzionati artisti di quel calibro. Ho voluto prendere le distanze da suddetti artisti, e da altri, in primis, perché secondo me non ha senso rifarsi a quanto è già stato realizzato, benché esso possa costituire una fonte di ispirazione. Semplicemente perché tutto ciò si ridurrebbe a una sterile imitazione e nulla più. Riconosco che, in un Universo vasto come quello tolkieniano, così inflazionato di immagini, è difficile – ma non impossibile – essere originali. È difficile anche essere competitivi in un ambito nel quale si avvicendano artisti abilissimi e dal grande talento. Ho spesso notato che chi fruisce dell’arte tolkieniana guarda a opere che siano specchio della realtà, e cerca l’iperrealismo in rappresentazioni che, a mio avviso, dovrebbero accostarsi maggiormente al mondo delle fiabe piuttosto che a quello reale, fotografico, in cui viviamo tutti i giorni. Ma questa è solo una mia libera considerazione personale, ed è un altro discorso. Come ho già detto prima, l’opera che mi ha ispirato maggiormente è stata Il Silmarillion, e non nego che i miei personaggi preferiti siano quelli malvagi. Non chiedermi il perché… In Melkor vedo il vero protagonista – tragico – del Silmarillion; uno dei più potenti Valar ma anche quello con sentimenti più umani, il quale riflette altresì la stessa natura degli Uomini. Ho iniziato a ritrarre lui, intorno al 2012, “osando” rappresentarlo nella sua forma più umana – o, se vogliamo, angelica. Cogliendo forse quella che potrebbe essere la sua vera essenza. Mi sono discostata volutamente dall’impronta di epicità con cui molti artisti rappresentano scenari e personaggi. Ho scelto di riportare tutto a una dimensione più “umana”, e, per questo motivo, riconosco che per molti sia difficile accettare questo genere di interpretazioni. Tuttavia, è ciò che sento e che vedo.Certo, secondo me l’arte si può equiparare tranquillamente ad altri mezzi rappresentativi; e, se non erro, Tolkien stesso aveva dichiarato di essere favorevole alla rappresentazione artistica delle sue opere.
Ti fai chiamare Simona “Brunilde”, e con le tue opere racconti soprattutto personaggi tolkieniani della Prima Era della Terra di Mezzo. È un caso o c’è un nesso?
Il nome “Brunilde” è una sorta di legame affettivo con il mio barbagianni, che ho chiamato Brunilde, alcuni anni fa. E, sì, in questo nome vi è un velato nesso con una passione parallela per la mitologia nordica.
Dei tuoi dipinti amo due cose: anzitutto lo sguardo delle persone ritratte, che ne rispecchia l’anima. La seconda è il fatto che lavori in analogico e non in digitale. Per te è importante ritrarre l’anima dei personaggi e riportarla su tela, e l’uso dell’olio su carta ha una qualche influenza in questo?
Ti ringrazio! Sì, credo che in un contesto di questo tipo sia opportuno riuscire a scandagliare i personaggi a livello interiore, non tanto riproponendo in una qualsiasi rappresentazione un mero esercizio tecnico. Personalmente io uso il metodo tradizionale perché è quello con cui mi sento più a mio agio, e mi permette di trasmettere le mie sensazioni. Esattamente, io cerco di ritrarre l’anima e le mie interpretazioni sono da definirsi oniriche piuttosto che realistiche. Ci tengo a sottolinearlo. Sono davvero felice che tu sia riuscito a cogliere questo particolare.
Cosa ne pensi degli artisti che lavorano soprattutto o esclusivamente in digitale? È una forma d’arte che si può applicare a o che Tolkien avrebbe apprezzato?
Uhm… non saprei, ci sono artisti che riescono a dare il meglio in digitale, altri in analogico o con una commistione di entrambe le tecniche. Sono scelte, probabilmente determinate da questioni di affinità, praticità, emozioni. Io credo che Tolkien avrebbe preferito un approccio più classico, forse non necessariamente analogico, conoscendolo così come la storia ci tramanda. Era un uomo del suo tempo che rifuggiva il progresso, sicuramente non avrebbe guardato di buon occhio una trasposizione che vira un po’ troppo verso il “fantasy” – come alcune elaborazioni, abbastanza ardite, che abbiamo apprezzato nel film, ad esempio.
Parliamo un po’ del tuo recente artbook, partiamo dalla fine: hai citato molte persone nei ringraziamenti (compreso l’emozionatissimo sottoscritto), non ultimi, dopo Natalia Vasilieva, Gianluca Comastri, Veerena Stima, la Società Tolkieniana Italiana ed il suo presidente Ninni Dimichino. Che tipo di rapporti hai avuto ed hai tutt’ora con la STI? Sono cambiati dopo che il tuo Glaurung è diventato il simbolo della Hobbiton 2018?
L’opera di Natalia Vasilieva mi ha dato lo spunto per realizzare alcune immagini e, come sappiamo, è una narrazione alternativa al Canone nella quale gli stessi avvenimenti del Silmarillion ci vengono raccontati dalla prospettiva del Nemico. Una versione molto toccante che si apre a risvolti inaspettati. A livello personale mi ha colpito molto, ed è quasi la stessa interpretazione che ho dato io stessa leggendo per la prima volta Il Silmarillion. Ci dimostra come ciò che appare bianco può essere nero, e viceversa, a secondo della prospettiva in cui si guarda. I rapporti con la STI sono attualmente di reciproca stima e amicizia, e sono davvero felice che esistano realtà di questo tipo – come la Società Tolkieniana Italiana e l’Associazione dei Cavalieri del Mark a unire i semplici appassionati come la sottoscritta, e gli addetti ai lavori, con un confronto costruttivo.
Il titolo dell’artbook è See through your eyes. Da dove nasce l’idea per questo titolo? Come lo tradurresti e come va interpretato? Che cosa hai voluto proporre alle persone attraverso di esso?
L’idea di questo titolo è nata dalla frase con cui Natalia Vasilieva ha autografato la copia del “Libro Nero di Arda” che mi diede in regalo. La frase è, appunto: “See through your eyes”, che significa guardare attraverso i propri occhi. In questa frase è racchiuso il significato e l’intento della sua opera e, di riflesso, della mia. L’intento è quello di andare oltre le apparenze e sondare nel profondo di ciò che ci viene proposto.
È notizia di ieri: Oronzo Cilli ha comunicato, mediante la creazione di un evento Facebook, le date definitive per lo svolgimento dell’evento culturale a tema tolkieniano che aveva già preannunciato sul finire dello scorso ottobre. Continua a leggere →
https://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2019/02/Barletta2019b.jpg498960Gianluca Comastrihttps://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2016/06/logo_sti2.pngGianluca Comastri2019-02-05 15:43:362019-02-07 09:03:32Tolkien Archivist a Barletta il 18-19 maggio
Giunge il turno di coinvolgere nella nostra carrellata un altro amico di vecchissima data, stavolta pescato dalla fertile fucina dei bravi illustratori nostrani. Fabio Porfidia, già membro dello storico smial Sackville di Bergamo, racconta qualcosa di sé (e non solo) rispondendo ai quesiti di Gianluca Comastri, tra cui non manca qualche gustosa anticipazione. Se vorrete scambiare qualche parola direttamente con lui, non sarà difficile: lo trovate in gran parte delle fiere più prestigiose che abbiano anche una parte “comics”.
Fabio, anche tu sei tra coloro i quali, partendo da una formazione di tutt’altro tipo, sono approdati al mondo della Fantasia e vi si sono insediati stabilmente. Quando hai capito che per te il disegno era il modo più pieno di vivere concretamente gli stati d’animo delle storie che di ispirano? E oggi, dopo anni di riscontri positivi, che cos’è per te disegnare – oltre, naturalmente, a un lavoro?
Ciao a te e tutti i lettori! Sì, ho seguito un percorso di studi molto “razionale” (liceo scientifico e laurea in economia), ma l’ho sempre trovato frustrante: le uniche materie in cui andavo davvero bene erano quelle letterarie ed artistiche. In realtà ho sempre sentito il bisogno di disegnare come valvola di sfogo. Nel periodo universitario avevo quasi completamente abbandonato il disegno perché era una distrazione dal faticoso studio che stavo portando avanti. Però poi la letteratura mi ha riportato in carreggiata. Penso alla scoperta di Lovecraft, che mi ha fatto rinascere la voglia di rappresentare ciò che i racconti ti evocavano nella mente; parallelamente iniziai a frequentare il gruppo tolkieniano Sackville. Fu proprio grazie a loro che ebbi la possibilità di esporre qualcosa di mio in pubblico per cui da lì, oltre al filone gotico, iniziai a disegnare anche fantasy (inteso in senso lato, so bene che Tolkien è molto più che fantasy!). Dopo poco, nel 2006, iniziai a frequentare la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco di Milano: dopo la laurea in qualcosa che mi aveva inaridito, volevo per la prima volta in vita mia studiare qualcosa che mi piacesse davvero. Da lì in poi ho avuto molta fortuna.
Oggi disegno o dipingo quasi tutti i giorni. Dico “quasi” perché insegnando ho sempre necessità di studiare, approfondire vari argomenti (non sempre direttamente legati al disegno, ad esempio mi appassionano tantissimo la storia, la paleontologia e il mondo naturale in genere). Inoltre gestire le mail o la messaggistica con editori e committenti a volte implica anche mezze giornate a spippolare sulla tastiera senza toccare un foglio. Frustrante ma necessario! Disegnare mi piace sempre tantissimo, anche se farlo per qualcun altro non sempre è gratificante come quando lo fai per te stesso. Talvolta non riesci a far passare la tua visione al committente: quando avviene spesso è frustrante, ma talvolta ti fa scoprire nuove soluzioni inaspettatamente belle. Insomma, ti obbliga costantemente a rimetterti in gioco. Un po’ mi manca il periodo in cui avevo il tempo di disegnare tutto quello che mi passasse per la testa. Però di contro oggi vivo grazie al disegno e di questo devo essere enormemente grato a chiunque mi supporti e mi commissioni qualcosa. O mi intervisti 😉
Ormai sei piuttosto noto tra chi frequenta gruppi ed eventi tolkieniani, però basta un’occhiata a qualche tuo portfolio, a una delle tantissime fiere in cui sei ospite oppure sul bel sito web Lo Scrigno di Carter, per scoprire che con le tue opere rendi omaggio a diverse saghe. Una graduatoria è fuori luogo, ma chiedere che cosa in particolare ti ha catturato della Terra di Mezzo di Tolkien mi pare lecito…
Io piuttosto noto? Ogni tanto qualcuno mi dice frasi del genere e ci resto sempre spiazzato. Stando gran parte della tua vita barricato in studio a disegnare non ho molto la percezione di quanto si diffonda quello che faccio. Però mi fa molto piacere che la gente mi inizi un po’ a conoscere!
Tolkien sicuramente è uno degli scrittori con cui mi trovo più a mio agio nel disegno. Avendo letto il suo Legendarium sono sempre rimasto colpito dalla varietà del suo mondo e dalla profonda ricchezza: cerchi immagini epiche, ci sono; cerchi immagini orrorifiche, ci sono; cerchi immagini eteree, ci sono; cerchi i nani, ci sono (i nani sono importanti)! Mi spiace davvero molto avere così poco tempo libero perché ci sono davvero tantissime scene che vorrei illustrare. Tralaltro sono a buon punto nella raccolta del materiale per “In Viaggio per Arda” volume 2.
Da lettore a dire il vero attualmente apprezzo soprattutto il genere distopico o la fantascienza più psicologica, ma da disegnatore sicuramente tutta l’epica e il fantasy offre un bacino enorme estremamente appagante da rappresentare. In questo ambito ho apprezzato moltissimo i romanzi di Martin su “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”. Purtroppo anche qui ho pochissimo tempo per leggere e quasi sempre lo dedico alla lettura di romanzi o giochi di ruolo per cui ho lavorato (e posso assicurare che è una mole imponente, visto soprattutto che a leggere sono molto lento!).
Ti contraddistingui per un certo rigore nella consultazione delle fonti: in tempi non sospetti hai ritratto gli Ent come giganti, uscendo dallo stereotipo degli alberi con viso e arti, mentre più di recente hai rispolverato un elemento non certo noto alle masse – il disegno di Tolkien I Vene Kemen, da cui hai tratto una rivisitazione apprezzatissima. Quanto è complesso, dopo l’epoca dei film, distaccarsi da un certo tipo di rappresentazione che ormai è radicato in un numero sempre crescente di appassionati?
Se non ricordo male per quella rappresentazione degli Ent contribuì a suo tempo, durante un incontro Sackville, una chiacchierata con Gabriele Marconi, seguita da un’attenta rilettura di tutti i passi in cui gli ent venivano descritti da Tolkien. I Vene Kemen era una immagine che volevo realizzare da oltre un anno, forse addirittura due. Per tutto questo tempo ho tenuto “Racconti Ritrovati” sulla scrivania con un segnalibro alla pagina del bozzetto di Tolkien e un chiodo fisso: “appena ho un po’ di tempo, rifaccio quella mappa”. Ad ogni modo sì, per me attenermi alle fonti è importantissimo e tengo a restare quanto più fedele possibile, sebbene alcune reinterpretazioni siano particolarmente efficaci visivamente. Parlo ad esempio della torre di Orthanc a Isengard, descritta da Tolkien come un cilindro nero completamente liscio e reinterpretata in modo egregio dalle illustrazioni di Alan Lee e John Howe, sebbene completamente differente. I film sono stati un ottimo prodotto, merito anche degli artisti che ci hanno lavorato, però come tutte le volte in cui un’opera letteraria finisce su schermo, va a condizionare l’immaginario. Inevitabilmente su alcuni aspetti, anche inconsciamente, ne sarò sicuramente succube. Però da lettore ho avuto delle immagini mentali abbastanza solide che sono state davvero poco scalfite dai film. E ad esse ritorno quando voglio disegnare: il mio Denethor non ha davvero nulla in comune con quello del film, ma semplicemente perché fin dalla prima lettura me lo ero immaginato così come l’ho disegnato anni dopo.
Sempre a proposito di rappresentazioni celebri e di mostri sacri della matita, hai in curriculum anche un workshop con John Howe: ce ne riassumi le impressioni che ti ha lasciato in non più di venti righe di testo?
Non più di 20 righe… Proviamoci! Anzitutto ho avuto modo di studiarmi l’artista e le opere ancora nel periodo 2004-2005, anno in cui i Sackville avevano fatto una bellissima iniziativa al liceo Mascheroni dedicata a Tolkien. Io proposi una rassegna sui principali artisti tolkieniani, tra cui ovviamente John Howe. Un paio d’anni dopo, organizzando l’ultima (e mai troppo celebrata) edizione de I Borghi dell’Anello provai a contattarlo per chiedergli se fosse stato possibile averlo ospite. Non l’avrei mai immaginato, ma rispose nell’arco di un’ora (sebbene declinasse l’invito perché in quel periodo fuori Europa). E poi finalmente un paio d’anni fa ebbi occasione di conoscerlo di persona nel corso organizzato a Milano. E’ stata un’esperienza incredibilmente emozionante perché, oltre a dare delle nozioni, ha portato tutto il suo vissuto e ci ha fatti riflettere su diversi aspetti sia tecnici che emotivi. Un momento particolarmente emozionante poi ha segnato l’ultima giornata. Dato che normalmente disegno in tradizionale, ma dipingo in digitale, volevo cogliere l’occasione per rispolverare gli acquerelli dopo anni e anni di abbandono. Quindi, una volta impostata la tavola con la bozza a matita e avere dato il tono di sfondo, gli chiesi quale fosse l’approccio migliore per iniziare a dipingere. Lui mi chiese se potesse sedersi, prese un piccolo foglio e iniziò a dipingere l’occhio di un drago. Ricordo che la classe (eravamo una trentina) si ammutolì e nel giro di pochi secondi erano tutti attorno al mio banco dove John stava dipingendo. In rete si trova il video (non realizzato da me perché all’epoca non ero ancora così tecnologico!). Beh, adesso sono il fortunato possessore di un acquerello originale di John Howe! Davvero una bellissima esperienza. Mi spiace tantissimo non essere riuscito a prendere parte al corso proposto pochi mesi fa. Ma immagino e spero ci saranno altre occasioni!
Vieni dal territorio bergamasco, in cui praticamente da sempre opera lo storico smial dei Sackville, uno dei primi e più attivi della penisola (restano celebri proprio le tre edizioni de I Borghi dell’Anello, tra il 2004 e il 2006): oggi che percezione hai del “movimento” dei tolkieniani italiani? Che cosa offre e in cosa manca ancora per essere la casa ideale di un disegnatore volenteroso e appassionato?
La percezione che ho sicuramente è molto sfalsata dal fatto che anni fa, da studente, avevo parecchio tempo libero che oggi non ho. Per cui sicuramente vedo le cose in modo differente. Ricordo che nel periodo in cui entrai nei Sackville (2003) esistevano già da un paio d’anni. Il boom del gruppo, poi diventato associazione, è stato sicuramente in concomitanza con l’uscita della prima trilogia di Jackson. Si poteva apprezzare l’interpretazione dei film o no, ma sta di fatto che in moltissimi si iniziarono ad interessare a Tolkien. All’epoca frequentavo moltissimo lo smial, anche se poi la scuola, prima da alunno, poi da insegnante, mi impedì di partecipare agli incontri. Ricordo con particolare affetto, oltre a I Borghi, l’evento che organizzammo nel 2012: There and Back Again: sulle tracce di Bilbo Baggins, a cui peraltro anche tu hai preso parte attiva! Adesso riesco ad andare agli incontri 2-3 volte l’anno, però resto sempre in contatto e se si volesse organizzare altri eventi, sarei ben felice di esporre con loro. Ricordo il periodo d’oro dei Borghi con particolare nostalgia comunque. Era anche il periodo delle Hobbiton a San Daniele del Friuli, le uniche a cui sono riuscito ad andare.
Mi sembra che anche adesso ci sia un certo fermento tolkieniano, anche per merito della secondo trilogia di Jackson, sebbene con meno traino rispetto al SdA e forse più polemiche (“la viverna!!!!”, “troppa computer grafica!!!”, “ma quelli non sono nani!!”, “Tauriel l’elfa che si innamora di un nano? Ma poi chi cacchio è Tauriel!?”…) prova ne è le tante iniziative più o meno direttamente legate a Tolkien. Però non ne ho molto il polso: riesco solo ad avere una visione parziale ai vari eventi a cui vengo invitato in quanto ospite, per cui non so l’organizzazione che vi sta dietro e se questa sia seminale anche in ambito artistico. Una cosa che ho notato di oggi, a differenza dell’epoca 2004-2006, è la frammentazione. Non mi riferisco agli smial (non so nemmeno quanti ne sopravvivano), ma parlo delle principali realtà tolkieniane italiane. E’ un vero peccato, visto che personalmente ho ottimi rapporti con tutti i gruppi dello scenario, vedere attriti quando il fine comune dovrebbe essere valorizzare l’autore che tutti apprezziamo! Si dovrebbe cercare ciò che unisce non ciò che divide. Però è solo lo sproloquio di un’imbrattafogli.
Poco più di cinque anni fa usciva nelle librerie una ben riuscita riedizione dell’analisi comparativa dei temi de Il Signore degli Anelli, frutto delle fatiche intellettuali di Stefano Giuliano – amico e collaboratore della nostra Società di provata fedeltà nel tempo (ormai lungo!). In occasione della “ricorrenza” vogliamo riportare l’attenzione su questo volume, che nelle pagine dell’editore veniva presentato con queste parole a firma di Luca Siniscalco:
La componente connessa all’impianto mitico, simbolico ed archetipico di Tolkien è oggetto del recente saggio di Stefano Giuliano, J. R. R. Tolkien. Tradizione e modernità nel Signore degli Anelli(Edizioni Bietti, Milano 2013). Si tratta dell’edizione riveduta – di fatto esito di una sostanziale riscrittura – del volume Le radici non gelano (Ripostes, Battipaglia 2001) la quale, attraverso un’esposizione lucida e coinvolgente, si pone l’arduo compito di proporre una nuova chiave di lettura de Il Signore degli Anelli, unendo ipotesi ermeneutiche eterodosse ad un valido apparato scientifico, basato su una bibliografia davvero sterminata.
Anche Mauro Scacchi, sul suo blog, ne aveva pubblicato una recensione: siamo lieti di riproporvela, con il permesso gentilmente concesso dall’autore.
In attesa del film “Lo Hobbit. La desolazione di Smaug”, tra una settimana nelle sale italiane, ci si può immergere nella Terra di Mezzo grazie ad un testo unico nel suo genere: “J.R.R. Tolkien. Tradizione e modernità nel Signore degli Anelli”(Bietti, 2013). Pubblicato per la prima volta con il titolo “Le radici profonde non gelano. Il conflitto fra tradizione e modernità in Tolkien” (Ripostes, Salerno 2001), derivato a sua volta dalla tesi di laurea dell’autore, “Il rito d’iniziazione come esodo. Tolkien e il tramonto dell’occidente” (subito viene in mente Spengler), il volume si ripresenta oggi profondamente rivisto ed aggiornato. Ospita il testo la collana Archeometro diretta da Andrea Scarabelli, fucina di proposte dal grande valore culturale. L’autore, Stefano Giuliano, classe ‘64, ha collaborato con la cattedra di Storia delle Religioni all’Orientale di Napoli, si è occupato di immaginario religioso, medievale e letteratura cavalleresca scrivendo per riviste specialistiche. Diverse antologie legate a Tolkien hanno incluso suoi lavori ed è stato responsabile di “Minas Tirith”, testata della Società Tolkieniana Italiana. Il libro vanta una prefazione di sicuro spessore, “Alla ricerca delle radici della narrativa tolkieniana”, scritta da uno dei maggiori conoscitori del professore oxoniense, Gianfranco de Turris. Ivi si legge: «un saggio che analizza influenze e suggestioni che stanno al fondo della narrativa tolkieniana, con speciale riguardo al “Signore degli Anelli”, ricorrendo proprio a quegli strumenti d’analisi sino ad oggi poco approfonditi, quali la storia delle religioni, l’antropologia culturale, la mitologia indoeuropea, l’epica medievale, i romanzi arturiani, le chansons de geste e le saghe norrene che gli consentono d’individuare non solo il senso simbolico di personaggi e azioni, ma anche archetipi di eventi e personaggi, idealtipi che si sono trasmessi dalle origini della civiltà, funzioni e meccanismi ancestrali». Da un’intuizione di Franco Cardini, il viaggio della Compagnia dell’Anello e in special modo di Frodo assurge a percorso iniziatico di morte e resurrezione, di andata agli inferi e ritorno. Dalla Contea a Mordor si snodano catabàsi (discesa nei Tumuli, a Moria, a Mordor) e successive riemersioni in cui i personaggi si scoprono cambiati, più saggi e indipendenti. Le comparazioni con i miti classici e cristiano-giudaici sono puntuali ma ancor più lo sono i rimandi alle leggende celtiche e norrene da cui Tolkien prese l’argilla per comporre le figure e le storie del suo Secondary World. Il Lord of the Rings è stato definito «la fiaba più lunga del mondo» e come tale affonda le radici nel substrato mentale del passato; è quindi possibile una sua lettura attraverso la tripartizione funzionale con cui Dumézil analizzò gli indoeuropei. A “Il Maestro della Terra di Mezzo” di P.A. Kocher (Bompiani, 2011) ed altre opere significative, quali quelle di Thomas Shippey e di Gulisano, si aggiunge ora l’eccezionale tomo di Giuliano, ricco di spunti e riflessioni nonché dotato di vasta bibliografia e di ampio apparato di note. Sulla scorta dei pensiero di Eliade e dello stesso Tolkien sul simbolismo delle fiabe, l’autore dona alla saggistica italiana un gioiello raro in cui il sacro si scontra con lo scientismo, Gandalf, Aragorn e Frodo contro Sauron e Saruman. Un piacere inaspettato per ogni vero appassionato di Tolkien.
Walking Tree Publishers, la casa editrice elvetica fondata per iniziativa della società tolkieniana svizzera (attiva fino al 2006) Eredain, ha annunciato una doppia iniziativa editoriale: si tratta di un volume prossimamente disponibile e della chiamata a raccolta per una nuova collettanea.
A ruota, nell’ottica di stimolare particolarmente i saggisti che trattano di e su J.R.R. Tolkien, Walking Tree rende noto che il numero seguente delle serie verterà sui modi in cui il Professore ha ricostruito le ambientazioni dei suoi racconti: dalle influenze germaniche e medievali fino a esplorare le relazioni con la modernità, la natura e i riferimenti cristiani, ciò che è stato approfondito con minore intensità sino ad ora è come la cultura classica, con riferimento alla Grecia antica e all’epopea di Roma, ha in qualche modo influenzato la concezione tolkieniana.
https://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2019/01/WalkingTree.png2961024Gianluca Comastrihttps://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2016/06/logo_sti2.pngGianluca Comastri2019-01-23 13:00:292019-01-24 11:06:46Walking Tree, nuovo volume e call for papers
La scorsa settimana, su bacheche e pagine online dedicate a Tolkien e alle sue opere, ha tenuto banco la notizia dell’incontro svoltosi lo scorso giovedì 17 gennaio. Presso la Sala Capitolare nel Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma (struttura disposta dal Senato della Repubblica) era annunciata La Guerra di Tolkien – Cosa accade in Italia al creatore degli hobbit?, evento la cui denominazione era già più di un indizio.
Fin dalle prime avvisaglie dell’iniziativa che abbiamo potuto captare ci siamo trovati in un certo impaccio. Il clima venutosi a creare nei giorni precedenti e seguenti l’iniziativa, che come da pronostico si è rivelato particolarmente acceso, ci ha consigliato attendere che si calmassero un po’ le acque prima di esprimerci – cosa dalla quale non potevamo né volevamo esimerci del tutto. Ma la faccenda continua ad essere piuttosto delicata.
Il nocciolo di tutta la questione, è bene ricordarlo, è dato dalla nuova traduzione dell’opera prima di Tolkien, annunciata da tempo ma non ancora venuta alla luce. Anche questa iniziativa, come altre degli ultimi tempi, si è inserita nel quadro di una contesa il cui effetto collaterale più drammatico è quello di polarizzare gli appassionati dividendoli in due schieramenti contrapposti, spesso più per questioni di bandiera estranee all’ambito letterario che non nel quadro di uno schietto confronto sul celebre e amato testo.
Abbiamo esitato, in ognuna di queste circostanze, spesso propendendo per non pronunciarci del tutto. Abbiamo deciso in questo senso in quanto, salvo qualche eccezione, tutte le parti in causa annoverano tra le loro file persone che negli anni hanno fatto parte a vario titolo della Società Tolkieniana Italiana, o comunque hanno gravitato attorno alle nostre attività. Dal 1992, anno della fondazione della Società e dell’avvio delle attività a suo nome, abbiamo vissuto tutto l’alternarsi di emozioni ed episodi che hanno caratterizzato la trasformazione della Terra di Mezzo da argomento per pochi cultori a fenomeno culturale di massa. Abbiamo visto la transizione da un pugno di titoli sugli scaffali delle librerie all’arrivo di sempre nuove e sempre più prestigiose pubblicazioni; le grandiose campagne cinematografiche ci hanno poi permesso di dare volto e forma al nostro immaginario quotidiano.
In questo caso, non potendo ovviamente affrontare nel dettaglio l’argomento della traduzione vera e propria, bisognava fare i conti con uno stato di cose in cui anche il semplice dare o non dare una notizia veniva visto come una certa qual forma di schieramento. Attendevamo quanto meno un pronunciamento di Bompiani, che c’è stato ma nel cui merito Vittoria Alliata ha replicato non ritenendolo dirimente la questione. Non ci resta pertanto che auspicare che il tempo porti consiglio e che tra associazioni culturali, gruppi e quant’altro le relazioni possano incentrarsi, nel pieno e legittimo rispetto dell’autonomia di ciascuno, su posizioni tali per cui la parola Guerra nel nostro contesto non venga utilizzata mai più – se non per parlare dei tanti ambiti di interesse e fascino della lotta dei Popoli Liberi della Terra di Mezzo contro le forze dell’Oscuro Signore.
https://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2018/04/SDA.jpg720960Gianluca Comastrihttps://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2016/06/logo_sti2.pngGianluca Comastri2019-01-22 16:02:442019-01-22 16:02:44La questione della nuova traduzione Bompiani
Più che un’intervista, si tratta di un dialogo tra due amici di vecchia data che si rincontrano su altri lidi (o sempre sugli stessi, visti da un’altra prospettiva?). Dai tempi d’oro di Eldalië alle prospettive non meno interessanti degli anni che porteranno alla nuova serie TV, Fabrizio Corselli incalzato da Gianluca Comastri dimostra, con la consueta perizia, cosa significa realmente trasformare gli spunti creativi dati da Tolkien in nuove iniziative artistiche e culturali.
Rieccoci qui a chiacchierare una volta di più, dopo anni di conoscenza e un bel po’ di vicende vissute attorno a Eldalië. Quello che continua a sorprendermi di quel sito/forum è che mise in contatto tante anime sensibili attorno a un filone comune (Tolkien), ma senza che tutti provenissero direttamente dall’ambiente dei “fan di Tolkien”. Com’è il tuo caso. Già prima di capitare da noi, ma anche durante e dopo, ti sei sempre cimentato su più fronti, per quanto non privi di punti di contatto. Una delle poche cose di cui non abbiamo mai parlato è: qual è stata la circostanza in cui hai riconosciuto in Tolkien un possibile filo conduttore di tutte le tue attività (che ti do licenza di descrivere, se riesci ad essere ragionevolmente sintetico)?
Il periodo di Eldalië lo ricordo ancora con grande enfasi. Soprattutto la creazione di una sezione dedicata alla poesia a tema fantasy, e che curai ai tempi; ma questo già lo sai. Non necessariamente bisogna essere del campo per apprezzare Tolkien; ogni amante del genere Fantasy ritrova in lui infiniti punti di contatto. In Tolkien ho sempre riconosciuto un filo conduttore profondo e proficuo allo stesso tempo. Secondo me, Tolkien va conosciuto prima di tutto per i suoi studi sulla poesia antica e per il suo rapporto con la poesia stessa. Non possiamo prescindere da tale situazione. Non lo definirei proprio un poeta, ma lui ha avuto il pregio e il primato di aver riportato in auge la dimensione eroica ed epica, nel senso proprio di “epos”, di averla riportata sotto una luce carica di modernità. Soprattutto se pensiamo alle sue rimodulazioni (assimilazioni, secondo il concetto di Virgilio), così attente e profonde. Suo il vanto di aver fatto rivivere l’epica antica, il primordio di un’essenza mitica e il sostrato che caratterizzarono la tradizione orale, seppur mediando con la prosa. La dimensione poetica che promana dai suoi testi narrativi sono palesi e inconfutabili. Le sue descrizioni sono la sintesi della solennità del verso epico (“semnos”). In ogni mio stage didattico, cito sempre le parole di Tolkien, divenute adesso epigrafe di ogni approccio poetico: “La Poesia dell’antico norvegese mira invece a catturare una situazione, ad assestare un colpo da non dimenticare, a illuminare con il chiarore del lampo un preciso momento, e tende alla concisione, a una corposa compressione del linguaggio nel senso e nella forma, e gradualmente a una maggiore regolarità nella forma del verso”.
So che negli anni sei stato intervistato parecchie volte, da personalità quali (per citarne tre a titolo di esempio) Giuseppe Iannozzi, Alexia Bianchini e Alfonso Zarbo. Proprio in virtù del tuo ventaglio di interessi è probabile che tu non abbia praticamente mai parlato in due volte diverse dello stesso argomento (non ho però verificato parola per parola…). Tu scrivi prevalentemente in versi. Per quanto giocare con le etichette sia sempre rischioso, penso di poter dire che il tuo percorso espressivo e creativo poggia saldamente su poesia, epica e mito, quasi a voler recuperare e restituire alla contemporaneità le tradizioni classiche. In tutto questo, qual è e come si è evoluto il tuo rapporto col, ehm, “fantasy”?
Le etichette non definiscono mai al meglio una data situazione, soprattutto quando un artista è caratterizzato da uno stile personale ben preciso, sottraendosi così a determinate categorizzazioni. Io ho una identità ben definita, o meglio che si è strutturata nel tempo. So chi sono, cosa faccio e, soprattutto, cosa voglio. Non mi pento di ciò, a dispetto delle critiche vacue che devo sostenere continuamente dai “puristi”. Di sicuro non sono un poeta contemporaneo o suburbano, per come lo si intende oggi, minimalista e intimista, ridotto all’osso. Sono nato in Sicilia, terra del mito e luogo di forte cultura orale, da quella greca a quella araba, per poi approdare alla corte federiciana con i trovatori. Amo alla follia la lirica epinicia e le Olimpiadi antiche. Pindaro è il mio poeta preferito. Il rapporto fra poesia e performance è alla base del mio comporre e delle mie attività, ragion per cui mi sottraggo fin troppo spesso al concetto di cultura libraria. La parola volteggia, danza, trascende il proprio corpus mechanicum (il foglio di carta), affonda a piene mani nelle radici della danza ieratica, dalla cheiromonia greca; fondamento che strutturerà la mia presente attività di Cantore di Spada. Professo quasi un’elfica beltà nella costruzione euritmica delle parole (notare, non uso il termine “testo”). È difficile non approdare al Fantasy percorrendo un tale percorso. Il mythos è origine del Fantasy, e di esso si nutre. Se prendiamo in considerazione la poesia norrena, il mito è fondamento della produzione di tale dimensione. In questo Tolkien è stato accentrante, egli ha evoluto e rafforzato il concetto di mitopoiesi, la formazione di un cosmos mitologico che vive di luce propria, un mondo completo in sé e che promuove con forza il concetto di verisimiglianza. Ciò ha influenzato anche la mia prosa (per quel poco che ho scritto), soprattutto con l’ultimo “Terra Draconis” che guarda a una struttura più vicina al Silmarillion, e che narra di come sia nato il continente di Andrara. Il mio Fantasy è dominato principalmente dalla figura dei Draghi che plasmo e trasformo secondo un’ottica straniante data dalla componente poetica: il drago come unità mensurale. Situazione che mi ha portato a collaborare con Ciruelo Cabral. Ci vorrebbe un’intervista a sé solo per discutere di questo. In ogni caso, il genere fantastico si evolve sempre, lambendo i confini della rivisitazione nordica (Runechase per il gioco di ruolo) o anche per gli stage di Canto della Spada dove lo stile riprende la tradizione degli scaldi o dei Bardi. L’Arte è alla base del mio modo di vedere e vivere il Fantasy.
A un certo punto, uscendo almeno in parte dall’ambito letterario, sono arrivati il gioco di ruolo e il Canto della Spada. Se dovessi individuare i loro principali punti di forza in fatto di efficacia come mezzi espressivi, narrativi e creativi, come li presenteresti? Non ti do limiti di nessun genere se non quelli della leggibilità di una pagina web.
Bella domanda. Gioco di Ruolo e Canto della Spada, alla fine hanno in comune come elemento fondamentale la narrazione orale; situazione che mi permette di portare in gioco anche le forme espressive e tecniche della seconda. Il gioco di ruolo permette una profonda immersione all’interno di uno spazio immaginato condiviso, mette in comunicazione e a confronto le abilità e le individualità di ogni suo partecipante che veste i panni di un personaggio. “Vivere” un’avventura ai confini della realtà, quindi non solo immaginarla, farne esperienza diretta all’interno di un luogo protetto e che fornisce ai suoi giocatori un nuovo modo di sperimentare la narrazione. In questo, Tolkien aveva già accennato alla famosa “sospensione dell’incredulità”, del positivo “compromesso” che si instaura fra lettore e libro, in cui si sviluppa la consapevolezza che quelle azioni, quei mondi e luoghi che vengono profilati con grande forza descrittiva possano esistere, possano essere credibili solo in quella realtà fittizia; nasce così il principio di coerenza e verisimiglianza. Il concetto di Eikos, l’abbiamo già in Platone e Aristotele. Invece con il Canto della Spada, arte della narrazione orale, si cerca di recuperare la tradizione antica mediando due forme di cultura e arte: quella del Cantastorie, per l’uso del verso, quale mirabile strumento per raccontare storie di eroi e mostri, e non soltanto, come si faceva un tempo intorno al fuoco o presso la corte di un Re, e l’uso della spada, derivato dalla tradizione cuntistica siciliana. Non mi sono fermato soltanto a questo, ho fatto di meglio. Ho riversato nella mia ultima fatica, un Gioco di Ruolo da tavolo, che ha per titolo “Museborn”, la mia conoscenza nel campo della narrazione orale, e ho creato la figura del Cantore di Spada: una classe a metà fra il bardo e il maestro di spada che impiega in ruolo le tecniche espressive della suddetta arte orale. Detto così, però è un po’ riduttivo. Alla fine, come puoi notare, le sinergie sono molteplici.
In base alla tua esperienza, cosa significa al giorno d’oggi essere poeti, in un periodo storico in cui il concetto stesso di cultura è clamorosamente ridiscusso in ogni suo aspetto? Quale presente e quale futuro avrà la poesia, dovendosi adattare a caratteristiche così turbolente come quelle del mondo contemporaneo?
Situazione molto spinosa. Soprattutto perché la Poesia è un genere che è andato incontro a una serie di degenerazioni, sia per l’irresponsabilità di molti nel considerare il verso motivo di faciloneria compositiva sia per la disonestà di moltissime case editrici che, fiutando la necessità della vanity press, pubblicano a pagamento. Da professionista del settore editoriale mi sento di dire che, oggi, un Poeta deve sputare davvero sangue per affermarsi. In un’epoca in cui Fabio Volo è considerato un filosofo, in cui le case grosse pubblicano youtuber dalla dubbia cultura, solo per il seguito che hanno, già la situazione la dice lunga. Molte case editrici hanno addirittura cancellato le collane di poesia, mentre altre hanno ridotto drasticamente le pubblicazioni. “Poeta” è un termine assai abusato, ha perso di valore. Il poeta è colui che continua a scandagliare la realtà delle cose, ignaro del pubblico, cercando di darcene di rimando una versione inedita, di fare breccia nell’essenza delle cose ridestandole dal loro torpore semantico. La Poesia è fatta di carne e sangue. Per tale motivo, io non mi definisco un poeta, sono invero un Cantore. Impiego il verso, ma non faccio Poesia. La mia è un’arte più legata alla performance e meno alla cultura libraria, pur pubblicando cartaceo. La vedo brutta per la Poesia, c’è stasi, c’è un’intera palude che attende di essere dragata. Attenzione, c’è anche del buono, ma sono davvero pochi quelli che si salvano, tralasciando i salottini letterari al pari di campi di concentramento: sono la morte.
Concludo con una tripla domanda a bruciapelo: in cosa ti senti particolarmente affine a Tolkien (per come lo hai conosciuto da ciò di suo che hai letto), in cosa invece te ne senti più distante e qual è secondo te il modo più efficace che abbiamo, come collettivi tolkieniani italiani che guardano anche oltre confine, per trasmettere l’immensa portata del suo lascito e creare le condizioni affinché ciò in cui credeva sia in qualche modo portato avanti da “altre mani e altre menti”?
Mi sento affine alla sua passione nel riportare alla luce una tradizione che merita uno studio molto accurato e, soprattutto, che non venga, allo stesso tempo, liquidato come qualcosa di accademico e basta. Di certo non mi riferisco al rigore del Professore, perché non siamo tutti filologi o studiosi, ma cercare di far rivivere quella scintilla, quell’ardimento che bisognerebbe avere in tutto ciò che si fa. Una passione che diventi qualcosa di più. Cercare di sviluppare punti di vista diversi e promuovere la mobilità del pensiero artistico. Il Fantasy è un crogiolo inesauribile di idee e spunti di riflessione. Per ciò che riguarda il distante, forse lo stesso rigore a cui ho accennato poco fa. Ognuno dovrebbe far proprio il punto di vista e, in particolar modo, assimilare tutto ciò che il passato ci dona per poi produrre una dimensione che tenga in conto la modernità, evitando così emulazioni o brutte copie di altro. Fin troppi scrittori ammiccano al mondo di Tolkien con poca consapevolezza e discernimento, con risultati finali a dir poco disastrosi. Intanto, i collettivi dovrebbero evitare di farsi la guerra. Vedo continuamente troppe battaglie ideologiche, troppo egocentrismo, come se detenessero la verità assoluta sui lavori di Tolkien; altri ancora portano avanti crociate devote al nulla. Un po’ presuntuoso, direi. Ci vuole un comune intento di collaborazione e allineamento dei propositi. Creare qualcosa di grande, di sinergico, produrre un contenitore in cui ognuno di noi metta a disposizione la propria arte, e i propri contributi in modo disinteressato. Parlo di una collettività unica. Forse, un’utopia?! Chissà?! Per ciò che riguarda me, cerco sempre di mettere a disposizione la mia arte innervando diversi elementi di Tolkien, per esempio in molti miei stage a tema. Speriamo le cose migliorino.
Utúlie’n aurë! Il giorno è venuto! Alle 21 di oggi il presidente della Tolkien SocietyShaun Gunner ci invita ad alzare i calici al Professore, per celebrare il 127° anniversario della sua venuta al mondo. Queste le parole di Gunner nell’odierno articolo sul sito ufficiale:
To mark J.R.R. Tolkien’s twelfty-seventh (127th) birthday, The Tolkien Society invites fans all over the world to participate in our annual Birthday Toast.
Tutti i particolari sulla storia e sulle semplici modalità di svolgimento di questo momento collettivo si trovano descritti nella nostra pagina evento, alla quale vi rimandiamo. Le due sole raccomandazioni che aggiungiamo sono di non scordare l’hashtag #TolkienBirthdayToast se condividerete foto o momenti su Twitter, Facebook o altro social network e di lasciare un commento all’unica pagina web ufficiale dell’evento mondiale.
https://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2018/01/TolkienBirthdayToast.jpg500851Gianluca Comastrihttps://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2016/06/logo_sti2.pngGianluca Comastri2019-01-03 09:30:342019-01-03 09:30:34Brindiamo al Professore con la Tolkien Society!
Torniamo brevemente su Sir Gawain e il Cavaliere Verde con Perla e Sir Orfeo, con una parentesi dedicata da Giuseppe Scattolini al secondo poema del terzetto. L’episodio qui raccontato testimonia una volta di più come un episodio fortuito può rivelare particolari notevoli sul Professore e sul frutto delle sue attività letterarie.
Introduzione
Cari amici Cavalieri e Tolkieniani Italiani,
oggi ci tengo a presentarvi un testo che mi è capitato in mano per caso, il “Pearl” curato da Gordon, e che Tolkien studiò approfonditamente. Mi è capitato di acquistarlo in un’asta assieme ad altri testi di Tolkien: non potete capire la mia gioia e la mia sorpresa quando l’ho ricevuto e ho visto che era una prima edizione!
Io non sono purtroppo né un vero collezionista né un vero studioso di Tolkien: faccio un po’ tutte e due le cose per passione, perché mi piace tenere dei libri in casa, avere edizioni diverse delle sue opere, e naturalmente anche leggerle e cercare di capirle. Non sono però né l’uno né l’altro: non ho il tempo da dedicare al collezionismo come sarebbe richiesto (comprare e vendere libri tenendo contatti con altri collezionisti), né ho in realtà quella passione, non del tutto. Inoltre, non mi sento uno studioso, perché seppure mi piace studiare e approfondire, amo farlo a modo mio e senza curarmi della “direzione” (imposta?) degli studi tolkieniani, soprattutto quelli esteri. Preferisco un sano e non pregiudiziale contatto col testo, leggendo qualche libro di critica ogni tanto, e soprattutto confrontandomi con gli appassionati come me: perché se leggo Tolkien è perché lo amo.
Penso dunque, e spero, che condividere questa mia scoperta inattesa possa far scoprire questo lato della persona di Tolkien e della sua vita di studioso a coloro che, in parte come anche me, non lo conoscono o lo conoscono poco: è un mio desiderio, più volte espresso, che il Professore venga mano a mano compreso interamente, non solo tramite Il Signore degli Anelli o la Terra di Mezzo, ma anche per via della sua vita, dei suoi studi e delle sue altre opere non legate al legendarium, di cui tanto Frodo quanto Beren fanno parte.
Tolkien, il Pearl e le edizioni del poema
“Pearl” (“Perla”) è il titolo di un’opera scritta in Medio Inglese nel verso allitterativo dell’epoca. Il suo autore è contemporaneo del più famoso Chaucer, autore dei Racconti di Canterbury, e ci collochiamo quindi nel XIV secolo inglese. L’altra grande opera per cui l’anonimo del Pearl è noto è il “Sir Gawain and the Green Knight” (“Sir Gawain e il Cavaliere Verde”).
Tolkien conobbe quest’opera per la prima volta durante i suoi studi alla King Edward’s School, e fece parte anche del curriculum di Leeds dove Tolkien insegnò, e stessa cosa ad Oxford.
Fu proprio negli anni di Leeds che Tolkien collaborò con E.V. Gordon per pubblicare nel 1925 l’edizione critica del Sir Gawain and the Green Knight. Gordon poi, mentre Tolkien si trasferì ad Oxford, proseguì da solo il suo lavoro sul Pearl, e non lo completò fino al 1937.
Fu allora che si rimise in contatto con Tolkien al fine di avere un suo aiuto per migliorare il lavoro. Il testo che venne fuori dalla revisione era troppo lungo per la pubblicazione, e c’era bisogno di fare dei tagli. Tolkien in parte si oppose, e Gordon scrisse a Sisam, l’editore, che ci sarebbe voluto del tempo prima che si fosse riusciti a fare quanto richiesto.
Fu allora che, il 19 luglio del 1938, Gordon morì. Tolkien prese su di sé tutti gli impegni accademici del suo defunto amico, tra cui la curatela del Pearl. Tuttavia, il Pearl stesso rimase congelato: come sappiamo, Tolkien all’epoca lavorava a Lo Hobbit e a Il Signore degli Anelli, aveva i suoi problemi familiari, perenni problemi economici, figli in guerra (era nel frattempo scoppiata la Seconda Guerra Mondiale) e non ultimo un pollaio cui badare. Così, il lavoro non riprese fino alla metà del 1947, in cui la vedova Gordon, Ida, prese in mano le redini dell’edizione critica mettendosi al lavoro lei stessa, e pungolando Tolkien per giungere a completarla. Collaborando assieme all’editore Kenneth Sisam, in vista anche dei tagli richiesti, si giunse alla pubblicazione del testo nel 1953. Tolkien rifiutò di mettere il suo nome di co-curatore dell’opera assieme a E.V. Gordon in onore del ricordo del suo carissimo amico e collega, ma sappiamo che suo è il lavoro di revisione del testo critico e di parte dell’introduzione, soprattutto quella dedicata all’interpretazione dell’opera secondo allegorie e simbolismi.
Dopo la morte di Tolkien stesso nel 1973, suo figlio Christopher si dedicò alla pubblicazione della traduzione di Tolkien stesso in inglese corrente del Pearl, assieme al Sir Gawain e al Sir Orfeo. Secondo Scull e Hammond tale traduzione di Tolkien del Pearl risale al 1925-26, ma la pubblicazione postuma di Christopher è del 1975 (prima del Silmarillion del 1977). Qui il terzogenito di Tolkien ci restituisce queste tre traduzioni di Tolkien di testi per lui preziosissimi, mettendo come introduzioni del Sir Gawain e del Pearl le parole di Tolkien stesso (per il Pearl le parole sono quelle dell’introduzione dell’edizione critica del ’53), scrivendo lui invece due parole per il Sir Orfeo.
Conclusioni
Ciò che mi ha sorpreso di più quando ho letto per la prima volta di queste cose nel volume di Scull e Hammond è che Tolkien non volle mettere il suo nome accanto a quello del defunto suo amico Gordon, affinché solo a lui e al suo ricordo fosse attribuito ogni merito.
Io non nascondo mai come e quanto ami Tolkien come persona. Mi viene detto che così si rischia di farne un santino, senz’ombre e senza peccato, ed è vero, ma ciò non cambia il dato di fatto che un uomo normale, coi suoi difetti e le sue piccolezze, possa essere ammirato per certi suoi tratti. Perché se è vero che tentò di ruffianarsi l’editore Collins e si fece mandar via dalla Allen&Unwin per lo stesso motivo, pubblicare Il Silmarillion e Il Signore degli Anelli insieme (e possiamo capire quanto pazzo editorialmente questo sia, per quanto non del tutto privo di senso da un punto di vista testuale), ci sono invece degli autentici momenti in cui si vede quanto grande fosse la sua persona. Quando ad esempio aiutava gli studenti invitandoli a casa propria e perdendo del tempo prezioso per loro; quando scriveva le storie per i suoi figli e si dedicava con loro ai giochi, come documentato da Oronzo Cilli e le sue ricerche sui trenini; oppure quando scriveva, cercando di rispondere sempre a tutti coloro che cercavano il suo consiglio e i suoi chiarimenti; od infine il suo amore di padre per i figli e la moglie, e di amico per i suoi amici.
La cosa davvero bella è che i valori che Tolkien ci trasmette nelle opere sono gli stessi che lui cercava di vivere nella sua vita: ecco perché disse che col Signore degli Anelli aveva aperto il suo cuore. Lo aveva fatto davvero.
Dunque, in conclusione, penso che questo testo in Italia edito da Mediterranee, Sir Gawain e il Cavaliere Verde con Perla e Sir Orfeo, non possa mancare nelle biblioteche di nessun tolkieniano: posso assicurarvi che vi stupirete perché, citando quel che dice Tolkien a proposito del Pearl, “il tema dottrinale è non separabile dalla forma letteraria del poema e dall’occasione che l’ha originato”.
Bibliografia
J.R.R. Tolkien, Sir Gawain and the Green Knight, London, Harper Collins, 2006; tr. it. a cura di Sebastiano Fusco, Sir Gawain e il Cavaliere Verde, Roma, Mediterranee, 2009.
J.R.R. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien, London, Harper Collins, 2006; tr. it. a cura di Lorenzo Gammarelli, Lettere 1914/1973, Milano, Bompiani, 2018.
E.V. Gordon (edited by), Pearl, London, Oxford University Press, 1953.
Christina Scull & Wayne G. Hammond, The J.R.R. Tolkien Companion and Guide, Reader’s Guide Part II, London, Harper Collins Publishers, 2017.
Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien. A Biography, tr. it. a cura di Franca Malagò e Paolo Pugni rivista da Andrea Monda, J.R.R. Tolkien. La biografia, Torino, Lindau, 2009.
https://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2018/12/GawainPerlaOrfeo-e1545236126166.jpg200800Gianluca Comastrihttps://www.tolkien.it/wp-content/uploads/2016/06/logo_sti2.pngGianluca Comastri2018-12-28 14:42:422018-12-28 15:15:01Pearl, la storia dietro a un'opera
Echi musicali sul cammino “VERSO MINAS TIRITH”: un’intervista a Edoardo Volpi Kellermann, “compositore tolkeniano” di lungo corso, potrebbe intitolarsi così. Per quanto argomento globale, la musica presenta caratteristiche divisive circa le preferenze personali, tra gusti diversi e propri di ciascuno, generi preferiti, autori prediletti. Al contempo, esiste un aspetto della musica che mette tutti d’accordo: il suo potere di generare, in ogni individuo, emozioni, sensazioni e ricordi. Ciascuno di noi è capace di riconoscere un compositore da un piccolo motivetto o di evocare le immagini di un’opera cinematografica partendo da poche note della sua colonna sonora.
La musica è, in definitiva, qualcosa che resta impressa nella mente e nel cuore, che riesce a coinvolgere tutti, prescindendo da preferenze e attitudini.
Quando si parla di musica, si finisce per parlare di musicisti, di coloro capaci di creare musica, figure quasi dotate di poteri magici coi quali riescono a fare elevare l’ascoltatore verso un composito universo di suoni e melodie. Musicista è colui che col suo talento riesce ad esprimere tutto l’amore e la passione per questo tipo di arte. Al talento, alla passione, il musicista somma lo studio, l’esperimento, l’approfondimento e l’aggiornamento su tecniche e strumenti.
Edoardo Volpi Kellermann è noto agli appassionati dell’universo tolkienano per l’opera Verso MinasTirith –TowardsMinasTirith. Di seguito spiegherà le origini e lo sviluppo della sua produzione e aiuterà chi, come me, non ha studiato musica, a fare chiarezza sugli aspetti più strettamente tecnici delle sue composizioni.
Ciao Edoardo, innanzitutto grazie per il tempo che ci stai dedicando. Ti ho definito compositore di lungo corso perché il tuo diploma al Conservatorio Cherubini di Firenze è datato 1986 ma la tua produzione è anche più risalente. Da quanti anni studiavi al Conservatorio? Che strumento/i suonavi?
Ciao Giovanna e innanzitutto grazie a voi per il vostro interesse alla mia opera. Nel 1986 mi sono diplomato in pianoforte con il compianto Maestro Antonio Bacchelli, dopo undici anni di studio (uno preparatorio più dieci accademici). Avevo iniziato contro il parere dei miei genitori (giustamente pensavano che strumenti più adatti alla partecipazione in orchestra, come ad esempio il Violino, mi avrebbero aperto maggiori possibilità di lavoro). Mi ero proprio innamorato del Pianoforte e nonostante le difficoltà che ho incontrato in seguito, non ultima la fatica di conciliare lo studio scolastico con quello della musica, non me ne sono mai pentito.
Ti sei specializzato in computer music. Puoi spiegare ai “non tecnici” in cosa consiste e le difficoltà legate a questo tipo di composizioni, in specie per via dell’arretratezza dei mezzi tecnologici in anni in cui non c’era ancora stato il successivo sviluppo?
Nel 1983 mio padre, che aveva il suo ufficio di rappresentante di commercio in casa, acquistò un Apple ][e (un personal computer veramente molto avanzato per quei tempi). Fu anche in quel caso amore a prima vista: mi aveva sempre affascinato, fin da piccolo, creare collegamenti fra concetti, eventi, ragionamenti, così iniziai a imparare la programmazione in basic e anche un po’ in assembler (linguaggio di basso livello), il che mi permise di sperimentare piccole animazioni in grafica – una rivoluzione per quegli anni – e i primi timidi esempi di suoni generati dalla macchina. Sei anni dopo potei regalarmi un Amiga 500, una macchina eccezionale in grado di far girare i primi sequencer, ovvero dei veri e propri registratori multi-traccia in grado di pilotare strumenti esterni via MIDI (un protocollo di comunicazione fra strumenti musicali elettronici). Aspiravo da tempo ad avere la mia orchestra personale e colsi al volo l’occasione, anche perché già sognavo le possibilità che si sarebbero aperte di lì a pochi anni. Nel frattempo iniziai a frequentare uno dei primi corsi di Computer Music, all’Istituto Mascagni di Livorno. È stato un grande lavoro di artigianato, ho imparato in parte studiando i testi disponibili all’epoca e in parte con l’intuito della passione. Allora non ci appariva affatto limitato quello che potevamo fare con quei mezzi che ora, effettivamente, ci sembrano ridicoli. Inizialmente le capacità di produzione del suono erano solo quelle delle tastiere elettroniche disponibili. Il sequencer si limitava a pilotarle in modalità polifonica, ovvero utilizzando la tastiera come una piccola orchestra: nel caso della mia Yamaha SY55, fino a 16 strumenti in contemporanea. Ci sembrava un miracolo. Oggi ho a disposizione orchestre virtualmente infinite, di qualità nettamente superiore, all’interno del computer stesso, limitate solo dalla velocità di calcolo e dalla memoria disponibile. Quindi, ritengo di avere fatto un ottimo investimento.
Parliamo adesso di un evento molto importante per te: nel 1981 il tuo primo approccio alle opere di J.R.R. Tolkien (allora approdate in Italia relativamente da poco tempo). Qual è stato il primo testo che hai letto?
Nel 1979 avevo visto al cinema il film di animazione di Ralph Bashki. Un’opera interessante ma raffazzonata, soprattutto nel finale. Capace di rappresentare con intensità le parti più inquietanti ma non altrettanto quelle gioiose e luminose. Eppure qualcosa mi rimase dentro, come un’eco. Ero attirato in modo irresistibile da quel libro, nonostante le obiezioni di mia madre (se vuoi leggere mitologia, leggi quella “vera” – non sapeva ancora quanto fosse “vera” la mitologia Tolkieniana). Ecosì mi convinsi ad acquistarlo, anche su consiglio di un caro amico, entrai nella Terra di Mezzo e non me ne liberai più.
Come tu stesso hai dichiarato qualche tempo fa, le parole del Professore ti colpiscono in modo particolare, la Terra di Mezzo ti entra nel cuore. Che cosa hai provato esattamente?
La lettura de Il Signore degli Anelli in realtà fu motivo di grande crisi per me, una crisi esistenziale. Possibile che un mondo inventato mi apparisse ben più vero, profondo e coinvolgente rispetto al mondo che definiamo reale, rispetto alla vita di tutti i giorni? Perché quella commozione, quelle emozioni così intense le provavo solo nella Terra di Mezzo, mentre le mie giornate apparivano ovattate, banali? Come potevo fare per rientrarci, al di là della lettura delle altre opere di Tolkien? Una sera, dopo le solite ore di studio al piano, mi ritrovai a esplorare di nuovo quel mondo, con melodie e armonie che ne scaturivano come se le leggessi da una partitura invisibile. Non avevo mai composto musica; ne avevo studiata tanta, questo sì, avevo acquisito il linguaggio e avevo già i miei stili e i miei autori preferiti, ma non mi ero mai sentito stimolato a scrivere qualcosa di mio, fino ad allora. Gradualmente compresi che avevo trovato la mia Porta di Durin. Una buona parte delle mie opere “tolkieniane” nacque in quel periodo, fra i 17 e i 20 anni di età.
Hai mai pensato che anche Arda, per quanto bellissima, non nasconda però anch’essa delle storture ( i Sackville–Baggins e il tradimento di Lotho per dirne una o, peggio, i temibili Orchi privi di pietà e sentimento), delle imperfezioni che la rendono similare al nostro mondo?
… e la gioia e il dolore vi sono affilati come spade, ci dice il Professore. Proprio questa è la chiave di lettura giusta: la buona mitologia non ci parla di mondi fantastici per dimenticare i problemi del mondo reale, come spesso ho letto o sentito dire in analisi a dir poco superficiali. È uno svelamento, un ritorno alle radici del nostro vivere e del nostro sentire. Ne ebbi un primo assaggio nella scena in cui Gandalf accenna a colui che non può e non deve essere nominato: la potenza della parola, del nome di un essere così malvagio è tale da modificare la realtà della storia, a cambiare il destino dei suoi protagonisti. Vaghi accenni, rapide pennellate che inducono un sacro terrore nel lettore attento e sensibile: tale è la potenza narrativa di Tolkien. E la bellezza, il bene, la luce è ancora più vivida in un mondo dove il male e l’oscurità sono tanto pregnanti.
Tra tutti, qual è il messaggio più importante che ti ha trasmesso la produzione del Professore?
La gioia e la bellezza, la speranza, appunto. Sono pochi gli autori che come Tolkien sappianorenderle senza banalizzarle. Dal punto di vista narrativo è più semplice descrivere il male, l’orrore. Ne abbiamo un esempio continuo nella nostra vita quotidiana, quella che chiamo “Sindrome del TG”: il bene e il bello non fanno notizia, così riceviamo un ritratto della realtà totalmente distorta, le lenti del cosiddetto “realismo” sono destinate a renderci inutilmente infelici. Per fortuna esistono autori e artisti come il Professore, pronti a ricordarci la meravigliosa complessità del mondo.
Veniamo dunque alla musica. Resti folgorato dall’universo tolkieniano e matura in te un’idea, che attecchisce nel tuo campo di interesse, quello appunto musicale.
Proprio così. Probabilmente se fossi stato un bravo illustratore la mia via d’ingresso personale sarebbe stata quella dell’arte figurativa. Ricordo ancora l’esaltazione che provai scoprendo di poter richiamare le sensazioni e le emozioni trasmesse dalla lettura, come se avessi trovato l’armadio per Narnia.
Comincia così il tuo “viaggio inaspettato”, che precede addirittura il tuo diploma al Conservatorio di Firenze. Quali strumenti hai usato e quali sono state le maggiori difficoltà per lo sviluppo della tua composizione?
Inizialmente il mio strumento principale fu il pianoforte, d’altronde era quello che conoscevo meglio. Però molte delle composizioni erano troppo complesse per un solo strumento. In seguito l’uso musicale del computer mi permise di “allargare” la tavolozza senza bisogno di un’orchestra personale, che non in molti possono permettersi, almeno fino alla nascita, anni dopo, della Sinfonica Tolkieniana. Le maggiori difficoltà che ho incontrato sono state di ordine diverso. Innanzitutto parlare di e comporre su Tolkien, negli anni ottanta e in un Paese come l’Italia, dove la narrativa fantastica ancora oggi continua ad essere considerata “per ragazzi”, nell’accezione più semplicistica del termine, non mi ha certo aiutato a venire “preso sul serio” al di fuori del mondo degli appassionati. Inoltre non seguivo le mode di certa musica contemporanea, dove la rottura degli schemi melodico – armonico – ritmici diventava un po’ fine a se stessa, di facciata. Ho sempre utilizzato canoni classici, anche se con molta libertà, e allora ciò era sinonimo di vecchio, di superato. Devo dire che il tempo mi ha dato ragione, visto che oggi c’è un ritorno all’utilizzo innovativo di tali canoni.
Da una dimensione prettamente privata decidi presto di dare rilevanza pubblica alla tua opera. L’anno era il 1992, l’occasione il Raduno Nazionale della Fantascienza e del Fantastico, tenutosi a Courmayeur. Ci racconti cosa accadde?
Da quanto riesco a ricordare, lessi dell’evento sull’Eternauta, rivista di fumetti e fantastico che ho collezionato dal primo all’ultimo numero. Scrissi all’organizzazione che mi sarebbe piaciuto partecipare con le mie opere musicali e loro mi risposero, dapprima un po’freddamente, invitandomi a spedire loro un demo. Allora preparai il demo su audio-cassetta, usando(lo accennavo prima) una tastiera Yamaha come orchestra virtuale e il mio pianoforte come strumento solista. Non venne fuori un granché rispetto a come lo avrei desiderato, nonostante ciò mi richiamarono, questa volta al telefono, invitandomi a tenere il concerto inaugurale la prima sera dell’evento.
Mi hai detto che è stato uno dei primi concerti multimediali in Italia. Analizzandolo dopo ventisei anni, che portata attribuisci all’evento?
L’ho verificato anche con altri miei amici e colleghi musicisti: è vero, sono stato uno dei primi a pensarci. L’idea fu quella di rifare – meglio – quanto avevo fatto per la demo, ovvero suonare il pianoforte dal vivo, mentre il mio Amiga 500 pilotava la tastiera che al momento opportuno faceva partire le tracce “orchestrali”. Questo colpì parecchio la fantasia del pubblico, letteralmente fantascientifico, della serata: c’erano Karel Thole, che andai a trovare qualche tempo dopo a Milano, Giuseppe Lippi, Marco e Fabio Patrito con i quali ho in seguito collaborato su altri progetti, Gianfranco de Turris, Adolfo Morganti…Oscar Chichoni non è venuto al concerto ma ci feci amicizia il giorno dopo e in seguito mi ha “regalato” il mio logo. Insomma, ho avuto occasione di conoscere personaggi davvero interessanti e importanti. Comunque il concerto piacque, e molto. La portata dell’evento a livello personale fu senz’altro vasta, un grande incoraggiamento a procedere, ad allargare i miei orizzonti. Per il resto non riesco ancora a valutarla…nel nostro Paese sembra che l’eco ogni iniziativa venga subito soffocato, soprattutto se non è promossa dai soliti noti. Dovremmo chiederlo a chi era presente.
Ti specializzi, acquisti nuovi strumenti informatici e decidi di incidere il primo disco. Era il 2003 e, al cinema, Il Ritorno del Recompletava il trionfo della vincente trilogia di Peter Jackson. Prima di scendere nel dettaglio del tuo lavoro del nuovo millennio, ti chiedo: come hai riempito musicalmente questo segmento temporale che va dal 1992 al 2003, appunto? La liason musica – Tolkien è rimasta sopita o è stata foriera di ulteriori produzioni?
Sono “uno dai mille progetti”, e questo è un pregio ma anche un difetto. Nel frattempo mi era nato un figlio e mi ero trasferito a Milano per lavoro. Allo stesso tempo il mio amore per Tolkien e la sua opera non si è sopito, anzi. Sono entrato in contatto innanzitutto con altri artisti, come Giuseppe Festa, e con realtà di appassionati come Eldalië e naturalmente STI. Idee su idee, mentre cercavo di far conoscere la mia opera al più alto numero di persone possibile, e non senza difficoltà.
Veniamo dunque alla fatidica data. Conosci, a quel tempo, una persona importante: Davide Perino, il doppiatore di Elijah Wood. In che occasione si è avuto il primo contatto e che tipo di rapporto hai avuto con Perino?
Come in tante altre occasioni devo ringraziare Giuseppe Festa, che me lo presentò. Davide è una persona fantastica, un vero Hobbit nella sua accezione migliore, disponibile e signorile. Giuseppe mi accompagnò a Roma per darmi una mano durante la registrazione: fu una giornata memorabile. Davide è rimasto sempre pronto a dare una mano e a partecipare alle nostre iniziative, anche negli anni seguenti e nonostante i sui diecimila impegni.
Parlavo, in precedenza, dell’importante sviluppo tecnologico rispetto alle dotazioni dei tuoi esordi. Grazie ai nuovi strumenti com’è cambiato il tuo lavoro?
È stata una crescita graduale. Giunto a Milano nel 1998 feci il primo salto di qualità, acquistando un PPC8100 usato, dotato di scheda audio SampleCell. Per intenderci fu il passaggio dagli strumenti esterni pilotati (tastiere, Drummachine, moduli sonori come lo Yamaha TG300) e registrati su un mixer analogico esterno, alla registrazione digitale su computer, con tutto ciò che implica in termini di miglioramento del suono grazie ai plug-in, agli effetti software offerti dai sequencer di allora (Cubase, Nuendo, Digital Performer). Oltre ai primi, timidi esempi di simulazione sonora all’interno del computer stesso. Per la felicità di mia moglie potei gradualmente liberarmi di parecchia ferraglia portando tutto il flusso di lavoro nel computer. Oggi uso il pianoforte digitale come tastiera pilota, ma i suoni li produco tutti in software. Niente più cavi, niente più rumore di fondo e problemi di impedenza, e con le potenze attuali posso creare orchestre praticamente infinite: quando la CPU fa fatica, si registra un po’ di roba in audio, si mixa, si mette da parte e poi si va avanti. Un sogno.
Altro incontro importante è quello con Alessandro Ferrari, primo violino della Scala di Milano, anche lui compositore e anche lui con una forte passione per Tolkien. Nel 2007, inevitabilmente, inizia una nuova collaborazione. Cosa ti viene in mente se ti dico Sinfonica Tolkieniana?
Uno dei più bei progetti della mia vita, anche se è durato poco. Musicisti della Filarmonica della Scala, Percussionisti della Scala, un primo violino e compositore Tolkieniano come direttore…devo aggiungere altro?
Com’è stato accolto il vostro concerto?
Bene. Non quanto avremmo voluto come quantità del pubblico in sala, perché purtroppo il Comune di Milano, pur se patrocinatore dell’evento (una giornata a tema Tolkieniano al Teatro dal Verme, con ospiti del calibro di Quirino Principe, di cui il concerto era l’apoteosi finale: altre notizie e video sul sito dell’evento) mancò totalmente l’obbiettivo di pubblicizzarlo in modo adeguato, per stessa ammissione dei responsabili presenti. Ma su YouTube, 750.000 contatti in poco tempo. Il che la dice lunga…
Sempre nel 2007 organizzi altri due concerti a Buccinasco. Complessivamente questi eventi hanno raccolto il successo sperato?
Non concerti: non solo. Dei veri e propri festival, uno nel 2006 con un’ottima partecipazione, in una location per tre giorni, al quale intervennero tutte le realtà più importanti dell’epoca tra cui le stesse Eldalië e STI, con la quale continuo a collaborare ancora oggi. Nel 2007 alzammo ulteriormente il tiro, invitando il grande Daniel Reeve e ampliandoci su tre location differenti, sempre a Buccinasco. E nel 2012 organizzammo un evento simile a Castellanza, con Barbara Baraldi come madrina. Che dire, gran belle iniziative, grazie all’aiuto di tutte le associazioni partecipanti e alle persone che mi hanno sempre supportato, in primis Gianluca Comastri e l’infaticabile Pietro Gusmaroli. Gran fatica, nessun rientro economico…D’altronde chi organizza eventi sa bene di cosa parlo. Ma la soddisfazione fu tanta, e comunque senza i primi due non ci sarebbe stato alcun evento al Teatro Dal Verme.
Tu sei molto attivo nel mondo di Internet. Oltre al tuo un canale Youtube hai aperto, nel 2004, il sitoTolkieniana.net, ce ne parli?
TolkienianaNet…sono io, ma insieme a tanti altri. Tolkieniana adesso fa parte di un trittico (Tolkien Italia – Tolkien ReadingDay) ma se alcune cose vanno per il verso giusto si svilupperà una rete più ampia. È partito con l’intenzione di diventare un punto di riferimento per tutti gli artisti che a Tolkien si sono ispirati o continuano a ispirarsi. Lo sai che Tolkien è l’autore del XX secolo che ha ispirato più musicisti, in assoluto? Basta dare un’occhiata alla Tolkien MusicList per rendersene conto. Lavorandoci praticamente da solo (con l’aiuto di Gianluca ogni volta che può), sia al sito principale che a quelli collaterali, riesco ad aggiornarlo e integrarlo solo in modo saltuario. Insomma, sono – siamo – in cerca di collaboratori!
Abbiamo già detto cheVerso MinasTirith –TowardMinasTirithnon esaurisce il novero delle tue composizioni a tema Tolkien. Quali sono, tra tutte le altre, quelle che ti stanno più a cuore? Gli appassionati e il pubblico in genere dove potrebbero ascoltarle?
Abbiate un po’ di pazienza…sto seguendo un altro progetto davvero molto importante per me. Se andrà in porto come spero mi ritaglierò il tempo per portare finalmente a termine innanzitutto “Festa in Casa Baggins” e poi…per adesso non ne parlo. Nel frattempo, il disco è disponibile su SoundCloud, su iTunes, su Amazon…
Abbiamo fatto riferimento, in precedenza, all’importanza del messaggio trasmessoti da Tolkien. Per concludere ti chiedo: qual è il messaggio che Edoardo Volpi Kellermann vuole mandare con la sua opera?
Non pretendo di saperlo, né di avere un particolare messaggio da mandare a chicchessia tranne…ascoltate, osservate, vivete a cuore aperto. Leggete buoni libri, innanzitutto Tolkien, e ascoltate buona musica.
Edoardo ti ringrazio per il tempo messo a disposizione al nostro pubblico e per averci dato la possibilità di viaggiare all’interno di un universo affascinante, quello musicale, in cui grazie al tuo lavoro rivive e prende forma la nostra comune passione per Arda.
Grazie a voi, queste occasioni di rimettere se stessi in discussione fanno innanzitutto bene all’intervistato.
L’articolista
Mi chiamo Giovanna Caruso, sono nata nel 1995 a Reggio Calabria, ma da poco tempo ho lasciato lo Stretto per le rive del Lago di Como. Diplomata al Liceo Classico, indirizzo linguistico, ho frequentato gli Scout AGESCI e ho svolto diverse attività di volontariato.
Due gatti allietano le mie giornate ma nella mia vita non ci sono solo animali: mi piace viaggiare, la natura, lo sport, la buona cucina e adoro l’Arte in tutte le sue forme. La mia più grande passione è la lettura, libro preferito naturalmente “Lo Hobbit” di J.R.R. Tolkien, con il più bel messaggio che Bilbo ci puòmandare: mettersi sempre in gioco.
Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile, cliccando su "Accetto" permetti il loro utilizzo. Maggiori informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.
Tolkieniani Italiani – Intervista a Simona Jero
Fra i tanti illustratori che si ispirano alla Terra di Mezzo per le loro creazioni, un gran numero si sono avvicinati a questo tipo di raffigurazioni dopo l’uscita della prima trilogia di P. Jackson (non solo per motivi anagrafici, va detto). Inevitabile quindi che queste produzioni artistiche risentano in maggiore o minor misura delle suggestioni cinematografiche. Ma non mancano le eccezioni di pregio: Giuseppe Scattolini ci permette di conoscere meglio Simona “Brunilde” Jero, esponente della corrente di chi invece si affida alla propria visione presentando scenari e personaggi dall’aspetto originale.
Carissima Simona, la prima cosa che vorrei chiederti è: quando ed in quali circostanze hai conosciuto Tolkien? Cosa ti ha appassionato fin da subito dei suoi testi? Quando hai deciso di cominciare a fare delle opere d’arte sui suoi scritti, e perché?
Dunque, andando a ritroso con gli anni, direi molto tempo fa. Precisamente intorno al 1992 quando un amico mi diede in prestito una copia de “La compagnia dell’anello.” Confesso che non è stato amore a prima vista – forse, perché ero troppo giovane – ma una passione che si è consolidata dopo la visione dei film. Sebbene la mia opera preferita rimanga tuttora Il Silmarillion. Delle opere del professore mi risulta difficile dire cosa mi affascina, se non affermare che sono intrise di magia; non nel senso comune della parola, ma nel senso che rappresentano per me un qualcosa di unico e straordinario. L’idea di realizzare delle tavole è nata quasi spontaneamente, e, soprattutto, dal desiderio di dare un volto ad alcuni personaggi che mi hanno affascinato e mi affascinano particolarmente.
Come ti ho detto più volte, secondo me la tua arte è tra le più originali quanto allo sguardo e all’interpretazione di Tolkien, soprattutto perché rimane difficile per tutti gli artisti riuscire a prendere realmente le distanze dai due artisti tolkieniani per eccellenza, John Howe e Alan Lee, e se vogliamo anche dal terzo, Ted Nasmith. Spiegaci ampiamente che cosa ti ispira di Tolkien, come tu lo interpreti, e se l’arte può essere una fonte interpretativa dei testi tolkieniani in una misura inferiore, simile o addirittura superiore a quelle della filologia, della filosofia, della teologia, della ricostruzione storico-biografica e bibliografica, od altre.
Anzitutto ti ringrazio per le tue parole gentili, e per la considerazione che hai, da sempre, a proposito delle mie umili interpretazioni. E dico umili quando, giustamente, vengono menzionati artisti di quel calibro. Ho voluto prendere le distanze da suddetti artisti, e da altri, in primis, perché secondo me non ha senso rifarsi a quanto è già stato realizzato, benché esso possa costituire una fonte di ispirazione. Semplicemente perché tutto ciò si ridurrebbe a una sterile imitazione e nulla più. Riconosco che, in un Universo vasto come quello tolkieniano, così inflazionato di immagini, è difficile – ma non impossibile – essere originali. È difficile anche essere competitivi in un ambito nel quale si avvicendano artisti abilissimi e dal grande talento. Ho spesso notato che chi fruisce dell’arte tolkieniana guarda a opere che siano specchio della realtà, e cerca l’iperrealismo in rappresentazioni che, a mio avviso, dovrebbero accostarsi maggiormente al mondo delle fiabe piuttosto che a quello reale, fotografico, in cui viviamo tutti i giorni. Ma questa è solo una mia libera considerazione personale, ed è un altro discorso. Come ho già detto prima, l’opera che mi ha ispirato maggiormente è stata Il Silmarillion, e non nego che i miei personaggi preferiti siano quelli malvagi. Non chiedermi il perché… In Melkor vedo il vero protagonista – tragico – del Silmarillion; uno dei più potenti Valar ma anche quello con sentimenti più umani, il quale riflette altresì la stessa natura degli Uomini. Ho iniziato a ritrarre lui, intorno al 2012, “osando” rappresentarlo nella sua forma più umana – o, se vogliamo, angelica. Cogliendo forse quella che potrebbe essere la sua vera essenza. Mi sono discostata volutamente dall’impronta di epicità con cui molti artisti rappresentano scenari e personaggi. Ho scelto di riportare tutto a una dimensione più “umana”, e, per questo motivo, riconosco che per molti sia difficile accettare questo genere di interpretazioni. Tuttavia, è ciò che sento e che vedo.Certo, secondo me l’arte si può equiparare tranquillamente ad altri mezzi rappresentativi; e, se non erro, Tolkien stesso aveva dichiarato di essere favorevole alla rappresentazione artistica delle sue opere.
Ti fai chiamare Simona “Brunilde”, e con le tue opere racconti soprattutto personaggi tolkieniani della Prima Era della Terra di Mezzo. È un caso o c’è un nesso?
Il nome “Brunilde” è una sorta di legame affettivo con il mio barbagianni, che ho chiamato Brunilde, alcuni anni fa. E, sì, in questo nome vi è un velato nesso con una passione parallela per la mitologia nordica.
Dei tuoi dipinti amo due cose: anzitutto lo sguardo delle persone ritratte, che ne rispecchia l’anima. La seconda è il fatto che lavori in analogico e non in digitale. Per te è importante ritrarre l’anima dei personaggi e riportarla su tela, e l’uso dell’olio su carta ha una qualche influenza in questo?
Ti ringrazio! Sì, credo che in un contesto di questo tipo sia opportuno riuscire a scandagliare i personaggi a livello interiore, non tanto riproponendo in una qualsiasi rappresentazione un mero esercizio tecnico. Personalmente io uso il metodo tradizionale perché è quello con cui mi sento più a mio agio, e mi permette di trasmettere le mie sensazioni. Esattamente, io cerco di ritrarre l’anima e le mie interpretazioni sono da definirsi oniriche piuttosto che realistiche. Ci tengo a sottolinearlo. Sono davvero felice che tu sia riuscito a cogliere questo particolare.
Cosa ne pensi degli artisti che lavorano soprattutto o esclusivamente in digitale? È una forma d’arte che si può applicare a o che Tolkien avrebbe apprezzato?
Uhm… non saprei, ci sono artisti che riescono a dare il meglio in digitale, altri in analogico o con una commistione di entrambe le tecniche. Sono scelte, probabilmente determinate da questioni di affinità, praticità, emozioni. Io credo che Tolkien avrebbe preferito un approccio più classico, forse non necessariamente analogico, conoscendolo così come la storia ci tramanda. Era un uomo del suo tempo che rifuggiva il progresso, sicuramente non avrebbe guardato di buon occhio una trasposizione che vira un po’ troppo verso il “fantasy” – come alcune elaborazioni, abbastanza ardite, che abbiamo apprezzato nel film, ad esempio.
Parliamo un po’ del tuo recente artbook, partiamo dalla fine: hai citato molte persone nei ringraziamenti (compreso l’emozionatissimo sottoscritto), non ultimi, dopo Natalia Vasilieva, Gianluca Comastri, Veerena Stima, la Società Tolkieniana Italiana ed il suo presidente Ninni Dimichino. Che tipo di rapporti hai avuto ed hai tutt’ora con la STI? Sono cambiati dopo che il tuo Glaurung è diventato il simbolo della Hobbiton 2018?
L’opera di Natalia Vasilieva mi ha dato lo spunto per realizzare alcune immagini e, come sappiamo, è una narrazione alternativa al Canone nella quale gli stessi avvenimenti del Silmarillion ci vengono raccontati dalla prospettiva del Nemico. Una versione molto toccante che si apre a risvolti inaspettati. A livello personale mi ha colpito molto, ed è quasi la stessa interpretazione che ho dato io stessa leggendo per la prima volta Il Silmarillion. Ci dimostra come ciò che appare bianco può essere nero, e viceversa, a secondo della prospettiva in cui si guarda. I rapporti con la STI sono attualmente di reciproca stima e amicizia, e sono davvero felice che esistano realtà di questo tipo – come la Società Tolkieniana Italiana e l’Associazione dei Cavalieri del Mark a unire i semplici appassionati come la sottoscritta, e gli addetti ai lavori, con un confronto costruttivo.
Il titolo dell’artbook è See through your eyes. Da dove nasce l’idea per questo titolo? Come lo tradurresti e come va interpretato? Che cosa hai voluto proporre alle persone attraverso di esso?
L’idea di questo titolo è nata dalla frase con cui Natalia Vasilieva ha autografato la copia del “Libro Nero di Arda” che mi diede in regalo. La frase è, appunto: “See through your eyes”, che significa guardare attraverso i propri occhi. In questa frase è racchiuso il significato e l’intento della sua opera e, di riflesso, della mia. L’intento è quello di andare oltre le apparenze e sondare nel profondo di ciò che ci viene proposto.
Tolkien Archivist a Barletta il 18-19 maggio
È notizia di ieri: Oronzo Cilli ha comunicato, mediante la creazione di un evento Facebook, le date definitive per lo svolgimento dell’evento culturale a tema tolkieniano che aveva già preannunciato sul finire dello scorso ottobre. Continua a leggere →
Tolkieniani Italiani – Intervista a Fabio Porfidia
Giunge il turno di coinvolgere nella nostra carrellata un altro amico di vecchissima data, stavolta pescato dalla fertile fucina dei bravi illustratori nostrani. Fabio Porfidia, già membro dello storico smial Sackville di Bergamo, racconta qualcosa di sé (e non solo) rispondendo ai quesiti di Gianluca Comastri, tra cui non manca qualche gustosa anticipazione. Se vorrete scambiare qualche parola direttamente con lui, non sarà difficile: lo trovate in gran parte delle fiere più prestigiose che abbiano anche una parte “comics”.
Fabio, anche tu sei tra coloro i quali, partendo da una formazione di tutt’altro tipo, sono approdati al mondo della Fantasia e vi si sono insediati stabilmente. Quando hai capito che per te il disegno era il modo più pieno di vivere concretamente gli stati d’animo delle storie che di ispirano? E oggi, dopo anni di riscontri positivi, che cos’è per te disegnare – oltre, naturalmente, a un lavoro?
Ciao a te e tutti i lettori! Sì, ho seguito un percorso di studi molto “razionale” (liceo scientifico e laurea in economia), ma l’ho sempre trovato frustrante: le uniche materie in cui andavo davvero bene erano quelle letterarie ed artistiche. In realtà ho sempre sentito il bisogno di disegnare come valvola di sfogo. Nel periodo universitario avevo quasi completamente abbandonato il disegno perché era una distrazione dal faticoso studio che stavo portando avanti. Però poi la letteratura mi ha riportato in carreggiata. Penso alla scoperta di Lovecraft, che mi ha fatto rinascere la voglia di rappresentare ciò che i racconti ti evocavano nella mente; parallelamente iniziai a frequentare il gruppo tolkieniano Sackville. Fu proprio grazie a loro che ebbi la possibilità di esporre qualcosa di mio in pubblico per cui da lì, oltre al filone gotico, iniziai a disegnare anche fantasy (inteso in senso lato, so bene che Tolkien è molto più che fantasy!). Dopo poco, nel 2006, iniziai a frequentare la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco di Milano: dopo la laurea in qualcosa che mi aveva inaridito, volevo per la prima volta in vita mia studiare qualcosa che mi piacesse davvero. Da lì in poi ho avuto molta fortuna.
Oggi disegno o dipingo quasi tutti i giorni. Dico “quasi” perché insegnando ho sempre necessità di studiare, approfondire vari argomenti (non sempre direttamente legati al disegno, ad esempio mi appassionano tantissimo la storia, la paleontologia e il mondo naturale in genere). Inoltre gestire le mail o la messaggistica con editori e committenti a volte implica anche mezze giornate a spippolare sulla tastiera senza toccare un foglio. Frustrante ma necessario! Disegnare mi piace sempre tantissimo, anche se farlo per qualcun altro non sempre è gratificante come quando lo fai per te stesso. Talvolta non riesci a far passare la tua visione al committente: quando avviene spesso è frustrante, ma talvolta ti fa scoprire nuove soluzioni inaspettatamente belle. Insomma, ti obbliga costantemente a rimetterti in gioco. Un po’ mi manca il periodo in cui avevo il tempo di disegnare tutto quello che mi passasse per la testa. Però di contro oggi vivo grazie al disegno e di questo devo essere enormemente grato a chiunque mi supporti e mi commissioni qualcosa. O mi intervisti 😉
Ormai sei piuttosto noto tra chi frequenta gruppi ed eventi tolkieniani, però basta un’occhiata a qualche tuo portfolio, a una delle tantissime fiere in cui sei ospite oppure sul bel sito web Lo Scrigno di Carter, per scoprire che con le tue opere rendi omaggio a diverse saghe. Una graduatoria è fuori luogo, ma chiedere che cosa in particolare ti ha catturato della Terra di Mezzo di Tolkien mi pare lecito…
Io piuttosto noto? Ogni tanto qualcuno mi dice frasi del genere e ci resto sempre spiazzato. Stando gran parte della tua vita barricato in studio a disegnare non ho molto la percezione di quanto si diffonda quello che faccio. Però mi fa molto piacere che la gente mi inizi un po’ a conoscere!
Tolkien sicuramente è uno degli scrittori con cui mi trovo più a mio agio nel disegno. Avendo letto il suo Legendarium sono sempre rimasto colpito dalla varietà del suo mondo e dalla profonda ricchezza: cerchi immagini epiche, ci sono; cerchi immagini orrorifiche, ci sono; cerchi immagini eteree, ci sono; cerchi i nani, ci sono (i nani sono importanti)! Mi spiace davvero molto avere così poco tempo libero perché ci sono davvero tantissime scene che vorrei illustrare. Tralaltro sono a buon punto nella raccolta del materiale per “In Viaggio per Arda” volume 2.
Da lettore a dire il vero attualmente apprezzo soprattutto il genere distopico o la fantascienza più psicologica, ma da disegnatore sicuramente tutta l’epica e il fantasy offre un bacino enorme estremamente appagante da rappresentare. In questo ambito ho apprezzato moltissimo i romanzi di Martin su “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”. Purtroppo anche qui ho pochissimo tempo per leggere e quasi sempre lo dedico alla lettura di romanzi o giochi di ruolo per cui ho lavorato (e posso assicurare che è una mole imponente, visto soprattutto che a leggere sono molto lento!).
Ti contraddistingui per un certo rigore nella consultazione delle fonti: in tempi non sospetti hai ritratto gli Ent come giganti, uscendo dallo stereotipo degli alberi con viso e arti, mentre più di recente hai rispolverato un elemento non certo noto alle masse – il disegno di Tolkien I Vene Kemen, da cui hai tratto una rivisitazione apprezzatissima. Quanto è complesso, dopo l’epoca dei film, distaccarsi da un certo tipo di rappresentazione che ormai è radicato in un numero sempre crescente di appassionati?
Se non ricordo male per quella rappresentazione degli Ent contribuì a suo tempo, durante un incontro Sackville, una chiacchierata con Gabriele Marconi, seguita da un’attenta rilettura di tutti i passi in cui gli ent venivano descritti da Tolkien. I Vene Kemen era una immagine che volevo realizzare da oltre un anno, forse addirittura due. Per tutto questo tempo ho tenuto “Racconti Ritrovati” sulla scrivania con un segnalibro alla pagina del bozzetto di Tolkien e un chiodo fisso: “appena ho un po’ di tempo, rifaccio quella mappa”. Ad ogni modo sì, per me attenermi alle fonti è importantissimo e tengo a restare quanto più fedele possibile, sebbene alcune reinterpretazioni siano particolarmente efficaci visivamente. Parlo ad esempio della torre di Orthanc a Isengard, descritta da Tolkien come un cilindro nero completamente liscio e reinterpretata in modo egregio dalle illustrazioni di Alan Lee e John Howe, sebbene completamente differente. I film sono stati un ottimo prodotto, merito anche degli artisti che ci hanno lavorato, però come tutte le volte in cui un’opera letteraria finisce su schermo, va a condizionare l’immaginario. Inevitabilmente su alcuni aspetti, anche inconsciamente, ne sarò sicuramente succube. Però da lettore ho avuto delle immagini mentali abbastanza solide che sono state davvero poco scalfite dai film. E ad esse ritorno quando voglio disegnare: il mio Denethor non ha davvero nulla in comune con quello del film, ma semplicemente perché fin dalla prima lettura me lo ero immaginato così come l’ho disegnato anni dopo.
Sempre a proposito di rappresentazioni celebri e di mostri sacri della matita, hai in curriculum anche un workshop con John Howe: ce ne riassumi le impressioni che ti ha lasciato in non più di venti righe di testo?
Non più di 20 righe… Proviamoci! Anzitutto ho avuto modo di studiarmi l’artista e le opere ancora nel periodo 2004-2005, anno in cui i Sackville avevano fatto una bellissima iniziativa al liceo Mascheroni dedicata a Tolkien. Io proposi una rassegna sui principali artisti tolkieniani, tra cui ovviamente John Howe. Un paio d’anni dopo, organizzando l’ultima (e mai troppo celebrata) edizione de I Borghi dell’Anello provai a contattarlo per chiedergli se fosse stato possibile averlo ospite. Non l’avrei mai immaginato, ma rispose nell’arco di un’ora (sebbene declinasse l’invito perché in quel periodo fuori Europa). E poi finalmente un paio d’anni fa ebbi occasione di conoscerlo di persona nel corso organizzato a Milano. E’ stata un’esperienza incredibilmente emozionante perché, oltre a dare delle nozioni, ha portato tutto il suo vissuto e ci ha fatti riflettere su diversi aspetti sia tecnici che emotivi. Un momento particolarmente emozionante poi ha segnato l’ultima giornata. Dato che normalmente disegno in tradizionale, ma dipingo in digitale, volevo cogliere l’occasione per rispolverare gli acquerelli dopo anni e anni di abbandono. Quindi, una volta impostata la tavola con la bozza a matita e avere dato il tono di sfondo, gli chiesi quale fosse l’approccio migliore per iniziare a dipingere. Lui mi chiese se potesse sedersi, prese un piccolo foglio e iniziò a dipingere l’occhio di un drago. Ricordo che la classe (eravamo una trentina) si ammutolì e nel giro di pochi secondi erano tutti attorno al mio banco dove John stava dipingendo. In rete si trova il video (non realizzato da me perché all’epoca non ero ancora così tecnologico!). Beh, adesso sono il fortunato possessore di un acquerello originale di John Howe! Davvero una bellissima esperienza. Mi spiace tantissimo non essere riuscito a prendere parte al corso proposto pochi mesi fa. Ma immagino e spero ci saranno altre occasioni!
Vieni dal territorio bergamasco, in cui praticamente da sempre opera lo storico smial dei Sackville, uno dei primi e più attivi della penisola (restano celebri proprio le tre edizioni de I Borghi dell’Anello, tra il 2004 e il 2006): oggi che percezione hai del “movimento” dei tolkieniani italiani? Che cosa offre e in cosa manca ancora per essere la casa ideale di un disegnatore volenteroso e appassionato?
La percezione che ho sicuramente è molto sfalsata dal fatto che anni fa, da studente, avevo parecchio tempo libero che oggi non ho. Per cui sicuramente vedo le cose in modo differente. Ricordo che nel periodo in cui entrai nei Sackville (2003) esistevano già da un paio d’anni. Il boom del gruppo, poi diventato associazione, è stato sicuramente in concomitanza con l’uscita della prima trilogia di Jackson. Si poteva apprezzare l’interpretazione dei film o no, ma sta di fatto che in moltissimi si iniziarono ad interessare a Tolkien. All’epoca frequentavo moltissimo lo smial, anche se poi la scuola, prima da alunno, poi da insegnante, mi impedì di partecipare agli incontri. Ricordo con particolare affetto, oltre a I Borghi, l’evento che organizzammo nel 2012: There and Back Again: sulle tracce di Bilbo Baggins, a cui peraltro anche tu hai preso parte attiva! Adesso riesco ad andare agli incontri 2-3 volte l’anno, però resto sempre in contatto e se si volesse organizzare altri eventi, sarei ben felice di esporre con loro. Ricordo il periodo d’oro dei Borghi con particolare nostalgia comunque. Era anche il periodo delle Hobbiton a San Daniele del Friuli, le uniche a cui sono riuscito ad andare.
Mi sembra che anche adesso ci sia un certo fermento tolkieniano, anche per merito della secondo trilogia di Jackson, sebbene con meno traino rispetto al SdA e forse più polemiche (“la viverna!!!!”, “troppa computer grafica!!!”, “ma quelli non sono nani!!”, “Tauriel l’elfa che si innamora di un nano? Ma poi chi cacchio è Tauriel!?”…) prova ne è le tante iniziative più o meno direttamente legate a Tolkien. Però non ne ho molto il polso: riesco solo ad avere una visione parziale ai vari eventi a cui vengo invitato in quanto ospite, per cui non so l’organizzazione che vi sta dietro e se questa sia seminale anche in ambito artistico. Una cosa che ho notato di oggi, a differenza dell’epoca 2004-2006, è la frammentazione. Non mi riferisco agli smial (non so nemmeno quanti ne sopravvivano), ma parlo delle principali realtà tolkieniane italiane. E’ un vero peccato, visto che personalmente ho ottimi rapporti con tutti i gruppi dello scenario, vedere attriti quando il fine comune dovrebbe essere valorizzare l’autore che tutti apprezziamo! Si dovrebbe cercare ciò che unisce non ciò che divide. Però è solo lo sproloquio di un’imbrattafogli.
J.R.R. Tolkien visto da Stefano Giuliano
Poco più di cinque anni fa usciva nelle librerie una ben riuscita riedizione dell’analisi comparativa dei temi de Il Signore degli Anelli, frutto delle fatiche intellettuali di Stefano Giuliano – amico e collaboratore della nostra Società di provata fedeltà nel tempo (ormai lungo!). In occasione della “ricorrenza” vogliamo riportare l’attenzione su questo volume, che nelle pagine dell’editore veniva presentato con queste parole a firma di Luca Siniscalco:
[Qui l’articolo completo].
Anche Mauro Scacchi, sul suo blog, ne aveva pubblicato una recensione: siamo lieti di riproporvela, con il permesso gentilmente concesso dall’autore.
In attesa del film “Lo Hobbit. La desolazione di Smaug”, tra una settimana nelle sale italiane, ci si può immergere nella Terra di Mezzo grazie ad un testo unico nel suo genere: “J.R.R. Tolkien. Tradizione e modernità nel Signore degli Anelli”(Bietti, 2013). Pubblicato per la prima volta con il titolo “Le radici profonde non gelano. Il conflitto fra tradizione e modernità in Tolkien” (Ripostes, Salerno 2001), derivato a sua volta dalla tesi di laurea dell’autore, “Il rito d’iniziazione come esodo. Tolkien e il tramonto dell’occidente” (subito viene in mente Spengler), il volume si ripresenta oggi profondamente rivisto ed aggiornato. Ospita il testo la collana Archeometro diretta da Andrea Scarabelli, fucina di proposte dal grande valore culturale. L’autore, Stefano Giuliano, classe ‘64, ha collaborato con la cattedra di Storia delle Religioni all’Orientale di Napoli, si è occupato di immaginario religioso, medievale e letteratura cavalleresca scrivendo per riviste specialistiche. Diverse antologie legate a Tolkien hanno incluso suoi lavori ed è stato responsabile di “Minas Tirith”, testata della Società Tolkieniana Italiana. Il libro vanta una prefazione di sicuro spessore, “Alla ricerca delle radici della narrativa tolkieniana”, scritta da uno dei maggiori conoscitori del professore oxoniense, Gianfranco de Turris. Ivi si legge: «un saggio che analizza influenze e suggestioni che stanno al fondo della narrativa tolkieniana, con speciale riguardo al “Signore degli Anelli”, ricorrendo proprio a quegli strumenti d’analisi sino ad oggi poco approfonditi, quali la storia delle religioni, l’antropologia culturale, la mitologia indoeuropea, l’epica medievale, i romanzi arturiani, le chansons de geste e le saghe norrene che gli consentono d’individuare non solo il senso simbolico di personaggi e azioni, ma anche archetipi di eventi e personaggi, idealtipi che si sono trasmessi dalle origini della civiltà, funzioni e meccanismi ancestrali». Da un’intuizione di Franco Cardini, il viaggio della Compagnia dell’Anello e in special modo di Frodo assurge a percorso iniziatico di morte e resurrezione, di andata agli inferi e ritorno. Dalla Contea a Mordor si snodano catabàsi (discesa nei Tumuli, a Moria, a Mordor) e successive riemersioni in cui i personaggi si scoprono cambiati, più saggi e indipendenti. Le comparazioni con i miti classici e cristiano-giudaici sono puntuali ma ancor più lo sono i rimandi alle leggende celtiche e norrene da cui Tolkien prese l’argilla per comporre le figure e le storie del suo Secondary World. Il Lord of the Rings è stato definito «la fiaba più lunga del mondo» e come tale affonda le radici nel substrato mentale del passato; è quindi possibile una sua lettura attraverso la tripartizione funzionale con cui Dumézil analizzò gli indoeuropei. A “Il Maestro della Terra di Mezzo” di P.A. Kocher (Bompiani, 2011) ed altre opere significative, quali quelle di Thomas Shippey e di Gulisano, si aggiunge ora l’eccezionale tomo di Giuliano, ricco di spunti e riflessioni nonché dotato di vasta bibliografia e di ampio apparato di note. Sulla scorta dei pensiero di Eliade e dello stesso Tolkien sul simbolismo delle fiabe, l’autore dona alla saggistica italiana un gioiello raro in cui il sacro si scontra con lo scientismo, Gandalf, Aragorn e Frodo contro Sauron e Saruman. Un piacere inaspettato per ogni vero appassionato di Tolkien.
[Fonte https://mauroscacchi.wordpress.com/2013/12/07/tutti-i-segreti-del-signore-degli-anelli-in-j-r-r-tolkien-di-stefano-giuliano/]
Walking Tree, nuovo volume e call for papers
Walking Tree Publishers, la casa editrice elvetica fondata per iniziativa della società tolkieniana svizzera (attiva fino al 2006) Eredain, ha annunciato una doppia iniziativa editoriale: si tratta di un volume prossimamente disponibile e della chiamata a raccolta per una nuova collettanea.
Cormarë series n° 40
La prima notizia riguarda l’uscita del volume 40 delle Cormarë series, ormai celeberrima collana di saggistica che mira a sviscerare gli argomenti rilevanti offerti dalle tematiche trattate nelle varie opere tolkieniane. Il volume in questione si intitola Sub-creating Arda: World-building in J.R.R. Tolkien’s Works, its Precursors, and Legacies; per tutte le altre informazioni rimandiamo volentieri all’articolo redatto sull’argomento da Tolkien Italia (http://tolkienitalia.net/wp/uncategorized/da-walking-tree-un-nuovo-titolo-e-una-call-for-papers/).
Call for papers Tolkien and the Classical World
A ruota, nell’ottica di stimolare particolarmente i saggisti che trattano di e su J.R.R. Tolkien, Walking Tree rende noto che il numero seguente delle serie verterà sui modi in cui il Professore ha ricostruito le ambientazioni dei suoi racconti: dalle influenze germaniche e medievali fino a esplorare le relazioni con la modernità, la natura e i riferimenti cristiani, ciò che è stato approfondito con minore intensità sino ad ora è come la cultura classica, con riferimento alla Grecia antica e all’epopea di Roma, ha in qualche modo influenzato la concezione tolkieniana.
Anche per questo, per tutte le altre informazioni riguardanti i dettagli sul tema proposto e le modalità di adesione e partecipazione, rimandiamo all’articolo di Tolkien Italia citato in precedenza (http://tolkienitalia.net/wp/uncategorized/da-walking-tree-un-nuovo-titolo-e-una-call-for-papers/).
La questione della nuova traduzione Bompiani
La scorsa settimana, su bacheche e pagine online dedicate a Tolkien e alle sue opere, ha tenuto banco la notizia dell’incontro svoltosi lo scorso giovedì 17 gennaio. Presso la Sala Capitolare nel Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma (struttura disposta dal Senato della Repubblica) era annunciata La Guerra di Tolkien – Cosa accade in Italia al creatore degli hobbit?, evento la cui denominazione era già più di un indizio.
Fin dalle prime avvisaglie dell’iniziativa che abbiamo potuto captare ci siamo trovati in un certo impaccio. Il clima venutosi a creare nei giorni precedenti e seguenti l’iniziativa, che come da pronostico si è rivelato particolarmente acceso, ci ha consigliato attendere che si calmassero un po’ le acque prima di esprimerci – cosa dalla quale non potevamo né volevamo esimerci del tutto. Ma la faccenda continua ad essere piuttosto delicata.
Il nocciolo di tutta la questione, è bene ricordarlo, è dato dalla nuova traduzione dell’opera prima di Tolkien, annunciata da tempo ma non ancora venuta alla luce. Anche questa iniziativa, come altre degli ultimi tempi, si è inserita nel quadro di una contesa il cui effetto collaterale più drammatico è quello di polarizzare gli appassionati dividendoli in due schieramenti contrapposti, spesso più per questioni di bandiera estranee all’ambito letterario che non nel quadro di uno schietto confronto sul celebre e amato testo.
Abbiamo esitato, in ognuna di queste circostanze, spesso propendendo per non pronunciarci del tutto. Abbiamo deciso in questo senso in quanto, salvo qualche eccezione, tutte le parti in causa annoverano tra le loro file persone che negli anni hanno fatto parte a vario titolo della Società Tolkieniana Italiana, o comunque hanno gravitato attorno alle nostre attività. Dal 1992, anno della fondazione della Società e dell’avvio delle attività a suo nome, abbiamo vissuto tutto l’alternarsi di emozioni ed episodi che hanno caratterizzato la trasformazione della Terra di Mezzo da argomento per pochi cultori a fenomeno culturale di massa. Abbiamo visto la transizione da un pugno di titoli sugli scaffali delle librerie all’arrivo di sempre nuove e sempre più prestigiose pubblicazioni; le grandiose campagne cinematografiche ci hanno poi permesso di dare volto e forma al nostro immaginario quotidiano.
In questo caso, non potendo ovviamente affrontare nel dettaglio l’argomento della traduzione vera e propria, bisognava fare i conti con uno stato di cose in cui anche il semplice dare o non dare una notizia veniva visto come una certa qual forma di schieramento. Attendevamo quanto meno un pronunciamento di Bompiani, che c’è stato ma nel cui merito Vittoria Alliata ha replicato non ritenendolo dirimente la questione. Non ci resta pertanto che auspicare che il tempo porti consiglio e che tra associazioni culturali, gruppi e quant’altro le relazioni possano incentrarsi, nel pieno e legittimo rispetto dell’autonomia di ciascuno, su posizioni tali per cui la parola Guerra nel nostro contesto non venga utilizzata mai più – se non per parlare dei tanti ambiti di interesse e fascino della lotta dei Popoli Liberi della Terra di Mezzo contro le forze dell’Oscuro Signore.
Tolkieniani Italiani – intervista a Fabrizio Corselli
Più che un’intervista, si tratta di un dialogo tra due amici di vecchia data che si rincontrano su altri lidi (o sempre sugli stessi, visti da un’altra prospettiva?). Dai tempi d’oro di Eldalië alle prospettive non meno interessanti degli anni che porteranno alla nuova serie TV, Fabrizio Corselli incalzato da Gianluca Comastri dimostra, con la consueta perizia, cosa significa realmente trasformare gli spunti creativi dati da Tolkien in nuove iniziative artistiche e culturali.
Rieccoci qui a chiacchierare una volta di più, dopo anni di conoscenza e un bel po’ di vicende vissute attorno a Eldalië. Quello che continua a sorprendermi di quel sito/forum è che mise in contatto tante anime sensibili attorno a un filone comune (Tolkien), ma senza che tutti provenissero direttamente dall’ambiente dei “fan di Tolkien”. Com’è il tuo caso. Già prima di capitare da noi, ma anche durante e dopo, ti sei sempre cimentato su più fronti, per quanto non privi di punti di contatto. Una delle poche cose di cui non abbiamo mai parlato è: qual è stata la circostanza in cui hai riconosciuto in Tolkien un possibile filo conduttore di tutte le tue attività (che ti do licenza di descrivere, se riesci ad essere ragionevolmente sintetico)?
Il periodo di Eldalië lo ricordo ancora con grande enfasi. Soprattutto la creazione di una sezione dedicata alla poesia a tema fantasy, e che curai ai tempi; ma questo già lo sai. Non necessariamente bisogna essere del campo per apprezzare Tolkien; ogni amante del genere Fantasy ritrova in lui infiniti punti di contatto. In Tolkien ho sempre riconosciuto un filo conduttore profondo e proficuo allo stesso tempo. Secondo me, Tolkien va conosciuto prima di tutto per i suoi studi sulla poesia antica e per il suo rapporto con la poesia stessa. Non possiamo prescindere da tale situazione. Non lo definirei proprio un poeta, ma lui ha avuto il pregio e il primato di aver riportato in auge la dimensione eroica ed epica, nel senso proprio di “epos”, di averla riportata sotto una luce carica di modernità. Soprattutto se pensiamo alle sue rimodulazioni (assimilazioni, secondo il concetto di Virgilio), così attente e profonde. Suo il vanto di aver fatto rivivere l’epica antica, il primordio di un’essenza mitica e il sostrato che caratterizzarono la tradizione orale, seppur mediando con la prosa. La dimensione poetica che promana dai suoi testi narrativi sono palesi e inconfutabili. Le sue descrizioni sono la sintesi della solennità del verso epico (“semnos”). In ogni mio stage didattico, cito sempre le parole di Tolkien, divenute adesso epigrafe di ogni approccio poetico: “La Poesia dell’antico norvegese mira invece a catturare una situazione, ad assestare un colpo da non dimenticare, a illuminare con il chiarore del lampo un preciso momento, e tende alla concisione, a una corposa compressione del linguaggio nel senso e nella forma, e gradualmente a una maggiore regolarità nella forma del verso”.
So che negli anni sei stato intervistato parecchie volte, da personalità quali (per citarne tre a titolo di esempio) Giuseppe Iannozzi, Alexia Bianchini e Alfonso Zarbo. Proprio in virtù del tuo ventaglio di interessi è probabile che tu non abbia praticamente mai parlato in due volte diverse dello stesso argomento (non ho però verificato parola per parola…). Tu scrivi prevalentemente in versi. Per quanto giocare con le etichette sia sempre rischioso, penso di poter dire che il tuo percorso espressivo e creativo poggia saldamente su poesia, epica e mito, quasi a voler recuperare e restituire alla contemporaneità le tradizioni classiche. In tutto questo, qual è e come si è evoluto il tuo rapporto col, ehm, “fantasy”?
Le etichette non definiscono mai al meglio una data situazione, soprattutto quando un artista è caratterizzato da uno stile personale ben preciso, sottraendosi così a determinate categorizzazioni. Io ho una identità ben definita, o meglio che si è strutturata nel tempo. So chi sono, cosa faccio e, soprattutto, cosa voglio. Non mi pento di ciò, a dispetto delle critiche vacue che devo sostenere continuamente dai “puristi”. Di sicuro non sono un poeta contemporaneo o suburbano, per come lo si intende oggi, minimalista e intimista, ridotto all’osso. Sono nato in Sicilia, terra del mito e luogo di forte cultura orale, da quella greca a quella araba, per poi approdare alla corte federiciana con i trovatori. Amo alla follia la lirica epinicia e le Olimpiadi antiche. Pindaro è il mio poeta preferito. Il rapporto fra poesia e performance è alla base del mio comporre e delle mie attività, ragion per cui mi sottraggo fin troppo spesso al concetto di cultura libraria. La parola volteggia, danza, trascende il proprio corpus mechanicum (il foglio di carta), affonda a piene mani nelle radici della danza ieratica, dalla cheiromonia greca; fondamento che strutturerà la mia presente attività di Cantore di Spada. Professo quasi un’elfica beltà nella costruzione euritmica delle parole (notare, non uso il termine “testo”). È difficile non approdare al Fantasy percorrendo un tale percorso. Il mythos è origine del Fantasy, e di esso si nutre. Se prendiamo in considerazione la poesia norrena, il mito è fondamento della produzione di tale dimensione. In questo Tolkien è stato accentrante, egli ha evoluto e rafforzato il concetto di mitopoiesi, la formazione di un cosmos mitologico che vive di luce propria, un mondo completo in sé e che promuove con forza il concetto di verisimiglianza. Ciò ha influenzato anche la mia prosa (per quel poco che ho scritto), soprattutto con l’ultimo “Terra Draconis” che guarda a una struttura più vicina al Silmarillion, e che narra di come sia nato il continente di Andrara. Il mio Fantasy è dominato principalmente dalla figura dei Draghi che plasmo e trasformo secondo un’ottica straniante data dalla componente poetica: il drago come unità mensurale. Situazione che mi ha portato a collaborare con Ciruelo Cabral. Ci vorrebbe un’intervista a sé solo per discutere di questo. In ogni caso, il genere fantastico si evolve sempre, lambendo i confini della rivisitazione nordica (Runechase per il gioco di ruolo) o anche per gli stage di Canto della Spada dove lo stile riprende la tradizione degli scaldi o dei Bardi. L’Arte è alla base del mio modo di vedere e vivere il Fantasy.
A un certo punto, uscendo almeno in parte dall’ambito letterario, sono arrivati il gioco di ruolo e il Canto della Spada. Se dovessi individuare i loro principali punti di forza in fatto di efficacia come mezzi espressivi, narrativi e creativi, come li presenteresti? Non ti do limiti di nessun genere se non quelli della leggibilità di una pagina web.
Bella domanda. Gioco di Ruolo e Canto della Spada, alla fine hanno in comune come elemento fondamentale la narrazione orale; situazione che mi permette di portare in gioco anche le forme espressive e tecniche della seconda. Il gioco di ruolo permette una profonda immersione all’interno di uno spazio immaginato condiviso, mette in comunicazione e a confronto le abilità e le individualità di ogni suo partecipante che veste i panni di un personaggio. “Vivere” un’avventura ai confini della realtà, quindi non solo immaginarla, farne esperienza diretta all’interno di un luogo protetto e che fornisce ai suoi giocatori un nuovo modo di sperimentare la narrazione. In questo, Tolkien aveva già accennato alla famosa “sospensione dell’incredulità”, del positivo “compromesso” che si instaura fra lettore e libro, in cui si sviluppa la consapevolezza che quelle azioni, quei mondi e luoghi che vengono profilati con grande forza descrittiva possano esistere, possano essere credibili solo in quella realtà fittizia; nasce così il principio di coerenza e verisimiglianza. Il concetto di Eikos, l’abbiamo già in Platone e Aristotele. Invece con il Canto della Spada, arte della narrazione orale, si cerca di recuperare la tradizione antica mediando due forme di cultura e arte: quella del Cantastorie, per l’uso del verso, quale mirabile strumento per raccontare storie di eroi e mostri, e non soltanto, come si faceva un tempo intorno al fuoco o presso la corte di un Re, e l’uso della spada, derivato dalla tradizione cuntistica siciliana. Non mi sono fermato soltanto a questo, ho fatto di meglio. Ho riversato nella mia ultima fatica, un Gioco di Ruolo da tavolo, che ha per titolo “Museborn”, la mia conoscenza nel campo della narrazione orale, e ho creato la figura del Cantore di Spada: una classe a metà fra il bardo e il maestro di spada che impiega in ruolo le tecniche espressive della suddetta arte orale. Detto così, però è un po’ riduttivo. Alla fine, come puoi notare, le sinergie sono molteplici.
In base alla tua esperienza, cosa significa al giorno d’oggi essere poeti, in un periodo storico in cui il concetto stesso di cultura è clamorosamente ridiscusso in ogni suo aspetto? Quale presente e quale futuro avrà la poesia, dovendosi adattare a caratteristiche così turbolente come quelle del mondo contemporaneo?
Situazione molto spinosa. Soprattutto perché la Poesia è un genere che è andato incontro a una serie di degenerazioni, sia per l’irresponsabilità di molti nel considerare il verso motivo di faciloneria compositiva sia per la disonestà di moltissime case editrici che, fiutando la necessità della vanity press, pubblicano a pagamento. Da professionista del settore editoriale mi sento di dire che, oggi, un Poeta deve sputare davvero sangue per affermarsi. In un’epoca in cui Fabio Volo è considerato un filosofo, in cui le case grosse pubblicano youtuber dalla dubbia cultura, solo per il seguito che hanno, già la situazione la dice lunga. Molte case editrici hanno addirittura cancellato le collane di poesia, mentre altre hanno ridotto drasticamente le pubblicazioni. “Poeta” è un termine assai abusato, ha perso di valore. Il poeta è colui che continua a scandagliare la realtà delle cose, ignaro del pubblico, cercando di darcene di rimando una versione inedita, di fare breccia nell’essenza delle cose ridestandole dal loro torpore semantico. La Poesia è fatta di carne e sangue. Per tale motivo, io non mi definisco un poeta, sono invero un Cantore. Impiego il verso, ma non faccio Poesia. La mia è un’arte più legata alla performance e meno alla cultura libraria, pur pubblicando cartaceo. La vedo brutta per la Poesia, c’è stasi, c’è un’intera palude che attende di essere dragata. Attenzione, c’è anche del buono, ma sono davvero pochi quelli che si salvano, tralasciando i salottini letterari al pari di campi di concentramento: sono la morte.
Concludo con una tripla domanda a bruciapelo: in cosa ti senti particolarmente affine a Tolkien (per come lo hai conosciuto da ciò di suo che hai letto), in cosa invece te ne senti più distante e qual è secondo te il modo più efficace che abbiamo, come collettivi tolkieniani italiani che guardano anche oltre confine, per trasmettere l’immensa portata del suo lascito e creare le condizioni affinché ciò in cui credeva sia in qualche modo portato avanti da “altre mani e altre menti”?
Mi sento affine alla sua passione nel riportare alla luce una tradizione che merita uno studio molto accurato e, soprattutto, che non venga, allo stesso tempo, liquidato come qualcosa di accademico e basta. Di certo non mi riferisco al rigore del Professore, perché non siamo tutti filologi o studiosi, ma cercare di far rivivere quella scintilla, quell’ardimento che bisognerebbe avere in tutto ciò che si fa. Una passione che diventi qualcosa di più. Cercare di sviluppare punti di vista diversi e promuovere la mobilità del pensiero artistico. Il Fantasy è un crogiolo inesauribile di idee e spunti di riflessione. Per ciò che riguarda il distante, forse lo stesso rigore a cui ho accennato poco fa. Ognuno dovrebbe far proprio il punto di vista e, in particolar modo, assimilare tutto ciò che il passato ci dona per poi produrre una dimensione che tenga in conto la modernità, evitando così emulazioni o brutte copie di altro. Fin troppi scrittori ammiccano al mondo di Tolkien con poca consapevolezza e discernimento, con risultati finali a dir poco disastrosi. Intanto, i collettivi dovrebbero evitare di farsi la guerra. Vedo continuamente troppe battaglie ideologiche, troppo egocentrismo, come se detenessero la verità assoluta sui lavori di Tolkien; altri ancora portano avanti crociate devote al nulla. Un po’ presuntuoso, direi. Ci vuole un comune intento di collaborazione e allineamento dei propositi. Creare qualcosa di grande, di sinergico, produrre un contenitore in cui ognuno di noi metta a disposizione la propria arte, e i propri contributi in modo disinteressato. Parlo di una collettività unica. Forse, un’utopia?! Chissà?! Per ciò che riguarda me, cerco sempre di mettere a disposizione la mia arte innervando diversi elementi di Tolkien, per esempio in molti miei stage a tema. Speriamo le cose migliorino.
Brindiamo al Professore con la Tolkien Society!
Utúlie’n aurë! Il giorno è venuto! Alle 21 di oggi il presidente della Tolkien Society Shaun Gunner ci invita ad alzare i calici al Professore, per celebrare il 127° anniversario della sua venuta al mondo. Queste le parole di Gunner nell’odierno articolo sul sito ufficiale:
Tutti i particolari sulla storia e sulle semplici modalità di svolgimento di questo momento collettivo si trovano descritti nella nostra pagina evento, alla quale vi rimandiamo. Le due sole raccomandazioni che aggiungiamo sono di non scordare l’hashtag #TolkienBirthdayToast se condividerete foto o momenti su Twitter, Facebook o altro social network e di lasciare un commento all’unica pagina web ufficiale dell’evento mondiale.
A stasera!
Pearl, la storia dietro a un’opera
Torniamo brevemente su Sir Gawain e il Cavaliere Verde con Perla e Sir Orfeo, con una parentesi dedicata da Giuseppe Scattolini al secondo poema del terzetto. L’episodio qui raccontato testimonia una volta di più come un episodio fortuito può rivelare particolari notevoli sul Professore e sul frutto delle sue attività letterarie.
Introduzione
Cari amici Cavalieri e Tolkieniani Italiani,
oggi ci tengo a presentarvi un testo che mi è capitato in mano per caso, il “Pearl” curato da Gordon, e che Tolkien studiò approfonditamente. Mi è capitato di acquistarlo in un’asta assieme ad altri testi di Tolkien: non potete capire la mia gioia e la mia sorpresa quando l’ho ricevuto e ho visto che era una prima edizione!
Io non sono purtroppo né un vero collezionista né un vero studioso di Tolkien: faccio un po’ tutte e due le cose per passione, perché mi piace tenere dei libri in casa, avere edizioni diverse delle sue opere, e naturalmente anche leggerle e cercare di capirle. Non sono però né l’uno né l’altro: non ho il tempo da dedicare al collezionismo come sarebbe richiesto (comprare e vendere libri tenendo contatti con altri collezionisti), né ho in realtà quella passione, non del tutto. Inoltre, non mi sento uno studioso, perché seppure mi piace studiare e approfondire, amo farlo a modo mio e senza curarmi della “direzione” (imposta?) degli studi tolkieniani, soprattutto quelli esteri. Preferisco un sano e non pregiudiziale contatto col testo, leggendo qualche libro di critica ogni tanto, e soprattutto confrontandomi con gli appassionati come me: perché se leggo Tolkien è perché lo amo.
Penso dunque, e spero, che condividere questa mia scoperta inattesa possa far scoprire questo lato della persona di Tolkien e della sua vita di studioso a coloro che, in parte come anche me, non lo conoscono o lo conoscono poco: è un mio desiderio, più volte espresso, che il Professore venga mano a mano compreso interamente, non solo tramite Il Signore degli Anelli o la Terra di Mezzo, ma anche per via della sua vita, dei suoi studi e delle sue altre opere non legate al legendarium, di cui tanto Frodo quanto Beren fanno parte.
Tolkien, il Pearl e le edizioni del poema
“Pearl” (“Perla”) è il titolo di un’opera scritta in Medio Inglese nel verso allitterativo dell’epoca. Il suo autore è contemporaneo del più famoso Chaucer, autore dei Racconti di Canterbury, e ci collochiamo quindi nel XIV secolo inglese. L’altra grande opera per cui l’anonimo del Pearl è noto è il “Sir Gawain and the Green Knight” (“Sir Gawain e il Cavaliere Verde”).
Tolkien conobbe quest’opera per la prima volta durante i suoi studi alla King Edward’s School, e fece parte anche del curriculum di Leeds dove Tolkien insegnò, e stessa cosa ad Oxford.
Fu proprio negli anni di Leeds che Tolkien collaborò con E.V. Gordon per pubblicare nel 1925 l’edizione critica del Sir Gawain and the Green Knight. Gordon poi, mentre Tolkien si trasferì ad Oxford, proseguì da solo il suo lavoro sul Pearl, e non lo completò fino al 1937.
Fu allora che si rimise in contatto con Tolkien al fine di avere un suo aiuto per migliorare il lavoro. Il testo che venne fuori dalla revisione era troppo lungo per la pubblicazione, e c’era bisogno di fare dei tagli. Tolkien in parte si oppose, e Gordon scrisse a Sisam, l’editore, che ci sarebbe voluto del tempo prima che si fosse riusciti a fare quanto richiesto.
Fu allora che, il 19 luglio del 1938, Gordon morì. Tolkien prese su di sé tutti gli impegni accademici del suo defunto amico, tra cui la curatela del Pearl. Tuttavia, il Pearl stesso rimase congelato: come sappiamo, Tolkien all’epoca lavorava a Lo Hobbit e a Il Signore degli Anelli, aveva i suoi problemi familiari, perenni problemi economici, figli in guerra (era nel frattempo scoppiata la Seconda Guerra Mondiale) e non ultimo un pollaio cui badare. Così, il lavoro non riprese fino alla metà del 1947, in cui la vedova Gordon, Ida, prese in mano le redini dell’edizione critica mettendosi al lavoro lei stessa, e pungolando Tolkien per giungere a completarla. Collaborando assieme all’editore Kenneth Sisam, in vista anche dei tagli richiesti, si giunse alla pubblicazione del testo nel 1953. Tolkien rifiutò di mettere il suo nome di co-curatore dell’opera assieme a E.V. Gordon in onore del ricordo del suo carissimo amico e collega, ma sappiamo che suo è il lavoro di revisione del testo critico e di parte dell’introduzione, soprattutto quella dedicata all’interpretazione dell’opera secondo allegorie e simbolismi.
Dopo la morte di Tolkien stesso nel 1973, suo figlio Christopher si dedicò alla pubblicazione della traduzione di Tolkien stesso in inglese corrente del Pearl, assieme al Sir Gawain e al Sir Orfeo. Secondo Scull e Hammond tale traduzione di Tolkien del Pearl risale al 1925-26, ma la pubblicazione postuma di Christopher è del 1975 (prima del Silmarillion del 1977). Qui il terzogenito di Tolkien ci restituisce queste tre traduzioni di Tolkien di testi per lui preziosissimi, mettendo come introduzioni del Sir Gawain e del Pearl le parole di Tolkien stesso (per il Pearl le parole sono quelle dell’introduzione dell’edizione critica del ’53), scrivendo lui invece due parole per il Sir Orfeo.
Conclusioni
Ciò che mi ha sorpreso di più quando ho letto per la prima volta di queste cose nel volume di Scull e Hammond è che Tolkien non volle mettere il suo nome accanto a quello del defunto suo amico Gordon, affinché solo a lui e al suo ricordo fosse attribuito ogni merito.
Io non nascondo mai come e quanto ami Tolkien come persona. Mi viene detto che così si rischia di farne un santino, senz’ombre e senza peccato, ed è vero, ma ciò non cambia il dato di fatto che un uomo normale, coi suoi difetti e le sue piccolezze, possa essere ammirato per certi suoi tratti. Perché se è vero che tentò di ruffianarsi l’editore Collins e si fece mandar via dalla Allen&Unwin per lo stesso motivo, pubblicare Il Silmarillion e Il Signore degli Anelli insieme (e possiamo capire quanto pazzo editorialmente questo sia, per quanto non del tutto privo di senso da un punto di vista testuale), ci sono invece degli autentici momenti in cui si vede quanto grande fosse la sua persona. Quando ad esempio aiutava gli studenti invitandoli a casa propria e perdendo del tempo prezioso per loro; quando scriveva le storie per i suoi figli e si dedicava con loro ai giochi, come documentato da Oronzo Cilli e le sue ricerche sui trenini; oppure quando scriveva, cercando di rispondere sempre a tutti coloro che cercavano il suo consiglio e i suoi chiarimenti; od infine il suo amore di padre per i figli e la moglie, e di amico per i suoi amici.
La cosa davvero bella è che i valori che Tolkien ci trasmette nelle opere sono gli stessi che lui cercava di vivere nella sua vita: ecco perché disse che col Signore degli Anelli aveva aperto il suo cuore. Lo aveva fatto davvero.
Dunque, in conclusione, penso che questo testo in Italia edito da Mediterranee, Sir Gawain e il Cavaliere Verde con Perla e Sir Orfeo, non possa mancare nelle biblioteche di nessun tolkieniano: posso assicurarvi che vi stupirete perché, citando quel che dice Tolkien a proposito del Pearl, “il tema dottrinale è non separabile dalla forma letteraria del poema e dall’occasione che l’ha originato”.
Bibliografia
J.R.R. Tolkien, Sir Gawain and the Green Knight, London, Harper Collins, 2006; tr. it. a cura di Sebastiano Fusco, Sir Gawain e il Cavaliere Verde, Roma, Mediterranee, 2009.
J.R.R. Tolkien, The Letters of J.R.R. Tolkien, London, Harper Collins, 2006; tr. it. a cura di Lorenzo Gammarelli, Lettere 1914/1973, Milano, Bompiani, 2018.
E.V. Gordon (edited by), Pearl, London, Oxford University Press, 1953.
Christina Scull & Wayne G. Hammond, The J.R.R. Tolkien Companion and Guide, Reader’s Guide Part II, London, Harper Collins Publishers, 2017.
Oronzo Cilli, Tolkien, I treni e due scoperte: Meccano e Hornby, da https://tolkieniano.blogspot.com/2017/11/tolkien-i-treni-e-due-scoperte-meccano.html.
Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien. A Biography, tr. it. a cura di Franca Malagò e Paolo Pugni rivista da Andrea Monda, J.R.R. Tolkien. La biografia, Torino, Lindau, 2009.
Tolkieniani Italiani – intervista a Edoardo Volpi Kellermann
Echi musicali sul cammino “VERSO MINAS TIRITH”: un’intervista a Edoardo Volpi Kellermann, “compositore tolkeniano” di lungo corso, potrebbe intitolarsi così. Per quanto argomento globale, la musica presenta caratteristiche divisive circa le preferenze personali, tra gusti diversi e propri di ciascuno, generi preferiti, autori prediletti. Al contempo, esiste un aspetto della musica che mette tutti d’accordo: il suo potere di generare, in ogni individuo, emozioni, sensazioni e ricordi. Ciascuno di noi è capace di riconoscere un compositore da un piccolo motivetto o di evocare le immagini di un’opera cinematografica partendo da poche note della sua colonna sonora.
La musica è, in definitiva, qualcosa che resta impressa nella mente e nel cuore, che riesce a coinvolgere tutti, prescindendo da preferenze e attitudini.
Quando si parla di musica, si finisce per parlare di musicisti, di coloro capaci di creare musica, figure quasi dotate di poteri magici coi quali riescono a fare elevare l’ascoltatore verso un composito universo di suoni e melodie. Musicista è colui che col suo talento riesce ad esprimere tutto l’amore e la passione per questo tipo di arte. Al talento, alla passione, il musicista somma lo studio, l’esperimento, l’approfondimento e l’aggiornamento su tecniche e strumenti.
Edoardo Volpi Kellermann è noto agli appassionati dell’universo tolkienano per l’opera Verso Minas Tirith – Towards Minas Tirith. Di seguito spiegherà le origini e lo sviluppo della sua produzione e aiuterà chi, come me, non ha studiato musica, a fare chiarezza sugli aspetti più strettamente tecnici delle sue composizioni.
Ciao Giovanna e innanzitutto grazie a voi per il vostro interesse alla mia opera. Nel 1986 mi sono diplomato in pianoforte con il compianto Maestro Antonio Bacchelli, dopo undici anni di studio (uno preparatorio più dieci accademici). Avevo iniziato contro il parere dei miei genitori (giustamente pensavano che strumenti più adatti alla partecipazione in orchestra, come ad esempio il Violino, mi avrebbero aperto maggiori possibilità di lavoro). Mi ero proprio innamorato del Pianoforte e nonostante le difficoltà che ho incontrato in seguito, non ultima la fatica di conciliare lo studio scolastico con quello della musica, non me ne sono mai pentito.
Nel 1983 mio padre, che aveva il suo ufficio di rappresentante di commercio in casa, acquistò un Apple ][e (un personal computer veramente molto avanzato per quei tempi). Fu anche in quel caso amore a prima vista: mi aveva sempre affascinato, fin da piccolo, creare collegamenti fra concetti, eventi, ragionamenti, così iniziai a imparare la programmazione in basic e anche un po’ in assembler (linguaggio di basso livello), il che mi permise di sperimentare piccole animazioni in grafica – una rivoluzione per quegli anni – e i primi timidi esempi di suoni generati dalla macchina. Sei anni dopo potei regalarmi un Amiga 500, una macchina eccezionale in grado di far girare i primi sequencer, ovvero dei veri e propri registratori multi-traccia in grado di pilotare strumenti esterni via MIDI (un protocollo di comunicazione fra strumenti musicali elettronici). Aspiravo da tempo ad avere la mia orchestra personale e colsi al volo l’occasione, anche perché già sognavo le possibilità che si sarebbero aperte di lì a pochi anni. Nel frattempo iniziai a frequentare uno dei primi corsi di Computer Music, all’Istituto Mascagni di Livorno. È stato un grande lavoro di artigianato, ho imparato in parte studiando i testi disponibili all’epoca e in parte con l’intuito della passione. Allora non ci appariva affatto limitato quello che potevamo fare con quei mezzi che ora, effettivamente, ci sembrano ridicoli. Inizialmente le capacità di produzione del suono erano solo quelle delle tastiere elettroniche disponibili. Il sequencer si limitava a pilotarle in modalità polifonica, ovvero utilizzando la tastiera come una piccola orchestra: nel caso della mia Yamaha SY55, fino a 16 strumenti in contemporanea. Ci sembrava un miracolo. Oggi ho a disposizione orchestre virtualmente infinite, di qualità nettamente superiore, all’interno del computer stesso, limitate solo dalla velocità di calcolo e dalla memoria disponibile. Quindi, ritengo di avere fatto un ottimo investimento.
Nel 1979 avevo visto al cinema il film di animazione di Ralph Bashki.
Un’opera interessante ma raffazzonata, soprattutto nel finale. Capace di rappresentare con intensità le parti più inquietanti ma non altrettanto quelle gioiose e luminose. Eppure qualcosa mi rimase dentro, come un’eco. Ero attirato in modo irresistibile da quel libro, nonostante le obiezioni di mia madre (se vuoi leggere mitologia, leggi quella “vera” – non sapeva ancora quanto fosse “vera” la mitologia Tolkieniana). E così mi convinsi ad acquistarlo, anche su consiglio di un caro amico, entrai nella Terra di Mezzo e non me ne liberai più.
La lettura de Il Signore degli Anelli in realtà fu motivo di grande crisi per me, una crisi esistenziale. Possibile che un mondo inventato mi apparisse ben più vero, profondo e coinvolgente rispetto al mondo che definiamo reale, rispetto alla vita di tutti i giorni? Perché quella commozione, quelle emozioni così intense le provavo solo nella Terra di Mezzo, mentre le mie giornate apparivano ovattate, banali? Come potevo fare per rientrarci, al di là della lettura delle altre opere di Tolkien? Una sera, dopo le solite ore di studio al piano, mi ritrovai a esplorare di nuovo quel mondo, con melodie e armonie che ne scaturivano come se le leggessi da una partitura invisibile. Non avevo mai composto musica; ne avevo studiata tanta, questo sì, avevo acquisito il linguaggio e avevo già i miei stili e i miei autori preferiti, ma non mi ero mai sentito stimolato a scrivere qualcosa di mio, fino ad allora. Gradualmente compresi che avevo trovato la mia Porta di Durin. Una buona parte delle mie opere “tolkieniane” nacque in quel periodo, fra i 17 e i 20 anni di età.
… e la gioia e il dolore vi sono affilati come spade, ci dice il Professore. Proprio questa è la chiave di lettura giusta: la buona mitologia non ci parla di mondi fantastici per dimenticare i problemi del mondo reale, come spesso ho letto o sentito dire in analisi a dir poco superficiali. È uno svelamento, un ritorno alle radici del nostro vivere e del nostro sentire. Ne ebbi un primo assaggio nella scena in cui Gandalf accenna a colui che non può e non deve essere nominato: la potenza della parola, del nome di un essere così malvagio è tale da modificare la realtà della storia, a cambiare il destino dei suoi protagonisti. Vaghi accenni, rapide pennellate che inducono un sacro terrore nel lettore attento e sensibile: tale è la potenza narrativa di Tolkien. E la bellezza, il bene, la luce è ancora più vivida in un mondo dove il male e l’oscurità sono tanto pregnanti.
La gioia e la bellezza, la speranza, appunto. Sono pochi gli autori che come Tolkien sappianorenderle senza banalizzarle. Dal punto di vista narrativo è più semplice descrivere il male, l’orrore. Ne abbiamo un esempio continuo nella nostra vita quotidiana, quella che chiamo “Sindrome del TG”: il bene e il bello non fanno notizia, così riceviamo un ritratto della realtà totalmente distorta, le lenti del cosiddetto “realismo” sono destinate a renderci inutilmente infelici. Per fortuna esistono autori e artisti come il Professore, pronti a ricordarci la meravigliosa complessità del mondo.
Proprio così. Probabilmente se fossi stato un bravo illustratore la mia via d’ingresso personale sarebbe stata quella dell’arte figurativa. Ricordo ancora l’esaltazione che provai scoprendo di poter richiamare le sensazioni e le emozioni trasmesse dalla lettura, come se avessi trovato l’armadio per Narnia.
Inizialmente il mio strumento principale fu il pianoforte, d’altronde era quello che conoscevo meglio. Però molte delle composizioni erano troppo complesse per un solo strumento. In seguito l’uso musicale del computer mi permise di “allargare” la tavolozza senza bisogno di un’orchestra personale, che non in molti possono permettersi, almeno fino alla nascita, anni dopo, della Sinfonica Tolkieniana. Le maggiori difficoltà che ho incontrato sono state di ordine diverso. Innanzitutto parlare di e comporre su Tolkien, negli anni ottanta e in un Paese come l’Italia, dove la narrativa fantastica ancora oggi continua ad essere considerata “per ragazzi”, nell’accezione più semplicistica del termine, non mi ha certo aiutato a venire “preso sul serio” al di fuori del mondo degli appassionati. Inoltre non seguivo le mode di certa musica contemporanea, dove la rottura degli schemi melodico – armonico – ritmici diventava un po’ fine a se stessa, di facciata. Ho sempre utilizzato canoni classici, anche se con molta libertà, e allora ciò era sinonimo di vecchio, di superato. Devo dire che il tempo mi ha dato ragione, visto che oggi c’è un ritorno all’utilizzo innovativo di tali canoni.
Da quanto riesco a ricordare, lessi dell’evento sull’Eternauta, rivista di fumetti e fantastico che ho collezionato dal primo all’ultimo numero. Scrissi all’organizzazione che mi sarebbe piaciuto partecipare con le mie opere musicali e loro mi risposero, dapprima un po’ freddamente, invitandomi a spedire loro un demo. Allora preparai il demo su audio-cassetta, usando (lo accennavo prima) una tastiera Yamaha come orchestra virtuale e il mio pianoforte come strumento solista. Non venne fuori un granché rispetto a come lo avrei desiderato, nonostante ciò mi richiamarono, questa volta al telefono, invitandomi a tenere il concerto inaugurale la prima sera dell’evento.
L’ho verificato anche con altri miei amici e colleghi musicisti: è vero, sono stato uno dei primi a pensarci. L’idea fu quella di rifare – meglio – quanto avevo fatto per la demo, ovvero suonare il pianoforte dal vivo, mentre il mio Amiga 500 pilotava la tastiera che al momento opportuno faceva partire le tracce “orchestrali”. Questo colpì parecchio la fantasia del pubblico, letteralmente fantascientifico, della serata: c’erano Karel Thole, che andai a trovare qualche tempo dopo a Milano, Giuseppe Lippi, Marco e Fabio Patrito con i quali ho in seguito collaborato su altri progetti, Gianfranco de Turris, Adolfo Morganti… Oscar Chichoni non è venuto al concerto ma ci feci amicizia il giorno dopo e in seguito mi ha “regalato” il mio logo. Insomma, ho avuto occasione di conoscere personaggi davvero interessanti e importanti.
Comunque il concerto piacque, e molto. La portata dell’evento a livello personale fu senz’altro vasta, un grande incoraggiamento a procedere, ad allargare i miei orizzonti. Per il resto non riesco ancora a valutarla… nel nostro Paese sembra che l’eco ogni iniziativa venga subito soffocato, soprattutto se non è promossa dai soliti noti. Dovremmo chiederlo a chi era presente.
Sono “uno dai mille progetti”, e questo è un pregio ma anche un difetto. Nel frattempo mi era nato un figlio e mi ero trasferito a Milano per lavoro. Allo stesso tempo il mio amore per Tolkien e la sua opera non si è sopito, anzi. Sono entrato in contatto innanzitutto con altri artisti, come Giuseppe Festa, e con realtà di appassionati come Eldalië e naturalmente STI. Idee su idee, mentre cercavo di far conoscere la mia opera al più alto numero di persone possibile, e non senza difficoltà.
Come in tante altre occasioni devo ringraziare Giuseppe Festa, che me lo presentò. Davide è una persona fantastica, un vero Hobbit nella sua accezione migliore, disponibile e signorile. Giuseppe mi accompagnò a Roma per darmi una mano durante la registrazione: fu una giornata memorabile. Davide è rimasto sempre pronto a dare una mano e a partecipare alle nostre iniziative, anche negli anni seguenti e nonostante i sui diecimila impegni.
È stata una crescita graduale. Giunto a Milano nel 1998 feci il primo salto di qualità, acquistando un PPC8100 usato, dotato di scheda audio SampleCell. Per intenderci fu il passaggio dagli strumenti esterni pilotati (tastiere, Drum machine, moduli sonori come lo Yamaha TG300) e registrati su un mixer analogico esterno, alla registrazione digitale su computer, con tutto ciò che implica in termini di miglioramento del suono grazie ai plug-in, agli effetti software offerti dai sequencer di allora (Cubase, Nuendo, Digital Performer). Oltre ai primi, timidi esempi di simulazione sonora all’interno del computer stesso. Per la felicità di mia moglie potei gradualmente liberarmi di parecchia ferraglia portando tutto il flusso di lavoro nel computer. Oggi uso il pianoforte digitale come tastiera pilota, ma i suoni li produco tutti in software. Niente più cavi, niente più rumore di fondo e problemi di impedenza, e con le potenze attuali posso creare orchestre praticamente infinite: quando la CPU fa fatica, si registra un po’ di roba in audio, si mixa, si mette da parte e poi si va avanti. Un sogno.
Uno dei più bei progetti della mia vita, anche se è durato poco. Musicisti della Filarmonica della Scala, Percussionisti della Scala, un primo violino e compositore Tolkieniano come direttore… devo aggiungere altro?
Bene. Non quanto avremmo voluto come quantità del pubblico in sala, perché purtroppo il Comune di Milano, pur se patrocinatore dell’evento (una giornata a tema Tolkieniano al Teatro dal Verme, con ospiti del calibro di Quirino Principe, di cui il concerto era l’apoteosi finale: altre notizie e video sul sito dell’evento) mancò totalmente l’obbiettivo di pubblicizzarlo in modo adeguato, per stessa ammissione dei responsabili presenti. Ma su YouTube, 750.000 contatti in poco tempo. Il che la dice lunga…
Non concerti: non solo. Dei veri e propri festival, uno nel 2006 con un’ottima partecipazione, in una location per tre giorni, al quale intervennero tutte le realtà più importanti dell’epoca tra cui le stesse Eldalië e STI, con la quale continuo a collaborare ancora oggi. Nel 2007 alzammo ulteriormente il tiro, invitando il grande Daniel Reeve e ampliandoci su tre location differenti, sempre a Buccinasco. E nel 2012 organizzammo un evento simile a Castellanza, con Barbara Baraldi come madrina. Che dire, gran belle iniziative, grazie all’aiuto di tutte le associazioni partecipanti e alle persone che mi hanno sempre supportato, in primis Gianluca Comastri e l’infaticabile Pietro Gusmaroli. Gran fatica, nessun rientro economico… D’altronde chi organizza eventi sa bene di cosa parlo. Ma la soddisfazione fu tanta, e comunque senza i primi due non ci sarebbe stato alcun evento al Teatro Dal Verme.
Tolkieniana Net… sono io, ma insieme a tanti altri. Tolkieniana adesso fa parte di un trittico (Tolkien Italia – Tolkien Reading Day) ma se alcune cose vanno per il verso giusto si svilupperà una rete più ampia. È partito con l’intenzione di diventare un punto di riferimento per tutti gli artisti che a Tolkien si sono ispirati o continuano a ispirarsi. Lo sai che Tolkien è l’autore del XX secolo che ha ispirato più musicisti, in assoluto? Basta dare un’occhiata alla Tolkien Music List per rendersene conto. Lavorandoci praticamente da solo (con l’aiuto di Gianluca ogni volta che può), sia al sito principale che a quelli collaterali, riesco ad aggiornarlo e integrarlo solo in modo saltuario. Insomma, sono – siamo – in cerca di collaboratori!
Abbiamo già detto cheVerso Minas Tirith – Toward Minas Tirithnon esaurisce il novero delle tue composizioni a tema Tolkien. Quali sono, tra tutte le altre, quelle che ti stanno più a cuore? Gli appassionati e il pubblico in genere dove potrebbero ascoltarle?
Abbiate un po’ di pazienza… sto seguendo un altro progetto davvero molto importante per me. Se andrà in porto come spero mi ritaglierò il tempo per portare finalmente a termine innanzitutto “Festa in Casa Baggins” e poi… per adesso non ne parlo. Nel frattempo, il disco è disponibile su SoundCloud, su iTunes, su Amazon…
Non pretendo di saperlo, né di avere un particolare messaggio da mandare a chicchessia tranne… ascoltate, osservate, vivete a cuore aperto. Leggete buoni libri, innanzitutto Tolkien, e ascoltate buona musica.
Grazie a voi, queste occasioni di rimettere se stessi in discussione fanno innanzitutto bene all’intervistato.
L’articolista
Mi chiamo Giovanna Caruso, sono nata nel 1995 a Reggio Calabria, ma da poco tempo ho lasciato lo Stretto per le rive del Lago di Como. Diplomata al Liceo Classico, indirizzo linguistico, ho frequentato gli Scout AGESCI e ho svolto diverse attività di volontariato.
Due gatti allietano le mie giornate ma nella mia vita non ci sono solo animali: mi piace viaggiare, la natura, lo sport, la buona cucina e adoro l’Arte in tutte le sue forme. La mia più grande passione è la lettura, libro preferito naturalmente “Lo Hobbit” di J.R.R. Tolkien, con il più bel messaggio che Bilbo ci può mandare: mettersi sempre in gioco.